Il termine è preso dalla biologia, ed è impiegato per indicare un corpo organico o una cellula capace di movimento spontaneo, e di un'esistenza più o meno autonoma rispetto all'organismo nel quale è inserito. Che un perfezionista come Henry Threadgill chiami Zooid gruppi come il quintetto che ha presentato venerdì scorso al Teatro Olimpico in apertura di Vicenza Jazz non è certo casuale, né una suggestione banale. Il movimento e l'autonomia sono infatti elementi decisivi in una concezione musicale audace che risalta fin dai primi istanti di concerto nella minuta tessitura, nella tensione sottile, nella fitta pulsazione creata con maestria dai suoi partner, Jose Davila al trombone e alla tuba, Liberty Ellman alla chitarra, Christopher Hoffman al violoncello e Elliot Kavee alla batteria.
Una capacità di movimento e di autonomia che possiamo riferire ai singoli componenti del gruppo rispetto all'insieme, ma a ben vedere anche alla musica nel suo complesso, che sembra quasi acquistare una vita propria, indipendente dalla volontà e dall'iniziativa dei singoli. Threadgill, che dirige e che come strumentista, al sax alto e ai flauti, interviene di rado e per lo più abbastanza telegraficamente, come ad aggiungere qua e là solo una pennellata, riesce ad operare la magia di darci spesso l'impressione di un rovesciamento: non dei musicisti che suonano una musica, ma una musica che fa suonare dei musicisti, quasi fossero degli arti che assicurano il moto di un essere vivente. Creare una musica così palpitante è una sfida non di poco conto per i musicisti che vi partecipano, a cui il leader-compositore offre dei canovacci che hanno la funzione di stimolarli ad agire tenendo presenti alcuni criteri che ha fissato ma anche in maniera il più possibile svincolata da cliché di ogni genere, in un mix di spontaneità e di vigilanza e rigore intellettuale. Per poter sostenere una pratica musicale così avanzata e non conformista, maturata in una lunga esperienza di leader, di formazioni talvolta anche ampie, generalmente dall'organico strumentale piuttosto inusuale, e sempre esteticamente ambiziose, Threadgill ha naturalmente bisogno di musicisti assai in confidenza con i procedimenti e lo spirito della sua musica: tre su quattro - fa eccezione Hoffman - sono con lui da almeno una dozzina d'anni.
Venuto al mondo nel 1944 a Chicago - città che ha dato i natali a diversi altri dei musicisti più visionari e appassionanti di oggi: Roscoe Mitchell, Anthony Braxton, Steve Coleman - Threadgill negli anni sessanta ha partecipato alla pionieristica Experimental Orchestra di Muhal Richard Abrams, è stato uno dei primi membri della cruciale Association for the Advancement of Creative Musicians, è diventato poi popolare presso il pubblico dell'avanguardia jazzistica con il trio Air, formato con Fred Hopkins al contrabbasso e Steve McCall alla batteria, e ha via via sviluppato i suoi originali progetti, che ha spesso rinunciato a documentare discograficamente nella misura che gli sarebbe stata possibile perché Threadgill concepisce questa sua musica così informale e non convenzionale come musica destinata ad essere proposta dal vivo come musica per danzare.
E se l'ascoltatore riesce ad entrarci senza cercarvi degli appigli narrativi particolari, il salvagente di un elemento narrativo, si accorgerà che questa musica, oltre a corroborarlo col tepore della sua intelligenza, lo terrà agevolmente a galla con un senso ritmico fortissimo, fatto di scivolamenti e stratificazioni. E a giudicare dagli applausi, una buona parte del pubblico dell'Olimpico, pur restando rigorosamente seduto, ha ballato.