COMMUNITY

Il conflitto tra movimenti e partito

LA CASA COMUNE DELLA SINISTRA
CACCIARI PAOLO,

Come si costruisce una "casa comune", era la domanda centrale dell'articolo di Guido Viale (il manifesto, 26 aprile). Per rispondere dovremmo farne, preliminarmente un'altra: per chi è la casa? Se non altro perché la sua progettazione dovrebbe seguire modalità partecipate e la sua stessa realizzazione dovrebbe avvenire in "autocostruzione". Solo così avremmo la garanzia di realizzare non uno squallido condominio, ma un gradevole cohousing, capace di facilitare la socievolezza e la convivialità dei suoi abitanti.
Sulla prima questione non avrei dubbi. I soggetti della trasformazione oggi - si è detto più volte - sono un arcipelago di tanti movimenti grassroots (direbbero i sociologi), "parecchie" moltitudini di persone direttamente e soggettivamente impegnate in sindacati, collettivi, gruppi, comitati, associazioni di fatto e di diritto, liste di cittadinanza, realtà dell'autogestione e dell'economia equa e solidale, mediattivisti, minoranze sociali, linguistiche, sessuali, piccoli gruppi senza nome... che tentano concretamente e quotidianamente di sfuggire alle grinfie del megaprogetto della globalizzazione e di costruire «ambiti di comunità autonormate» (come dice Gustavo Esteva). Quelle persone che da Seattle a Zuccotti Park, da Genova a Pomigliano, da Via Campesina ai Gruppi di acquisto solidali, dalla Val di Susa ai mille No Tav d'Italia, dal volontariato per Libera Terra ad Emergency... contestano in radice l'ordine sociale esistente dominato dalle ragioni del mercato, dalla competizione distruttiva, dal saccheggio provocato dall'"economia estrattiva".
Da questa immedesimazione empatica con i movimenti ne deriva una visione antropologica ottimistica e positiva sulle possibilità degli esseri umani, a partire da quelli più emarginati, di cambiare le cose in questo mondo. Ma il processo di trasformazione, per quanto diffuso e molecolare lo si possa immaginare, si scontra inevitabilmente con le istituzioni politiche costituite sulla base di gerarchie statalizzate di dominio. Con esse bisogna fare i conti, cioè confliggere. E' la dimensione del conflitto, oltre a quella delle pratiche di socializzazione, che necessita di forme organizzate di convergenza tra i movimenti sociali. Questo processo di autoapprendimento avviene gradualmente e spontaneamente, ma ha bisogno di strumenti utili a mettere in comune le conoscenze e i saperi esperenziali diffusi. Come ha scritto Marco Bersani su questo giornale, è allora necessario «saper riconoscere i nessi e risalire alle cause» che condannano le persone alla subalternità e alla eteronomia. Fino a che ciò non avviene hanno ragione pensatori come Mario Tronti che giudicano la società come niente di più di «un aggregato frantumato e informe di corrosi particolarismi».
C'è una idea radicata anche nel pensiero del movimento operaio, socialista e comunista, secondo cui i movimenti (compresi quelli sindacali) sarebbero espressione di una spontaneità priva di intelligenza politica, "nuda vita" che può prendere coscienza di sé solo se c'è un intervento di un soggetto esterno: il partito politico. Scrisse Angelo Bolaffi (Il partito Politico): «il movimento di massa è concepito come qualche cosa di informale, una sorta di torso michelangiolesco, non più semplicemente sociale, ma non anche politico (...) L'autonomia dei movimenti di massa è semplicemente intesa restrittivamente (a sovranità limitata) in attesa di un fine ultimo, cioè di essere parlamentarizzata e completamente sintetizzata nella forma partito». Lo schema è quello classico: movimento/partito/parlamento/stato. Dove i diversi ambiti rimangono separati da una specie di divisione tecnica del lavoro. Il sociale e il politico si autonomizzano, i ruoli si professionalizzano, l'ideale democratico dell'autogoverno svanisce.
Temo che rimanendo dentro questo schema sarà impossibile costruire una casa comune (cioè, sociale e politica assieme) che può avvenire solo attraverso un percorso di colleganza dal basso fra associazioni, comitati, gruppi che intendono pensarsi anche come soggetti di governo partecipato dei territori, capaci di elaborare programmi, di darsi forme di autorappresentanza istituzionale e di gestire in proprio le necessarie mediazioni. Un processo di confluenza sulla base di «schemi di cooperazione e di coordinamento tra le pratiche» (Michael Hardt in Creare il comune, in www.democraziakmzero.org, febbraio 2013). Ovvero, sperimentando «forme organizzative di autodeterminazione, autoeducazione, auto-trasformazioine» (John Holloway, idem). Un percorso che, se correttamente condotto, potrebbe, io credo, autoimmunizzare i movimenti nei confronti di qualsiasi intrusione di virus esterni.

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it