ITALIA

Il ministero: in galera non c'è più posto

GIUSTIZIA - Il Dap ai direttori: 67mila detenuti per 45mila letti, metteteli nei reparti fatiscenti
MARIETTI SUSANNA,

Dà un'amara soddisfazione leggerlo nero su bianco su carta intestata del Ministero della Giustizia. Viene da vantarsi ricordando come lo andassimo raccontando da tempo. Se non fosse che le polemiche avvengono sulla pelle di persone in carne, ossa e tempo da scontare in galera.
Il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenzaria ha emanato una circolare nella quale ammette che i numeri dell'affollamento carcerario sono assai più pesanti di quelli ai quali già chiunque - ex nonché neo presidente della Repubblica compreso - guardava con ormai ingestibile preoccupazione.
A che gioco giochiamo? Ce lo eravamo chiesti nell'ultimo Rapporto del nostro Osservatorio sulle condizioni di detenzione in Italia, dato alle stampe lo scorso autunno. Il numero dei posti letto che l'Amministrazione Penitenziaria sosteneva di avere a disposizione lievitava magicamente, passando dalle poco più di 44 mila unità dell'inizio 2010, al momento in cui fu dichiarato lo stato di emergenza penitenziario, alle oltre 45.500 unità dell'estate 2012, che diventavano quasi 46.800 solo due mesi dopo per poi crescere ulteriormente. Lungo quei due mesi la Calabria avrebbe guadagnato 236 posti letto, l'Umbria ne avrebbe guadagnati 196 e la Lombardia addirittura 661. Senza tuttavia che alcun nuovo carcere fosse stato costruito in queste regioni né che alcun nuovo padiglione carcerario fosse stato inaugurato. Ma c'è dell'altro: non solo il sistema penitenziario italiano non si è recentemente arricchito di spazi nuovi, ma ha inoltre perso tanti spazi tra quelli già esistenti.
La spending review che si è abbattuta sulle vite di tutti noi nei modi che conosciamo bene, per i detenuti ha significato, tra le tante altre cose, anche una brutale riduzione dei metri quadri a disposizione di ognuno. Come qualsiasi edificio abitato, anche il carcere ha infatti bisogno di ordinaria manutenzione, che senza soldi diventa difficile portare avanti. Girando per le carceri come siamo usi fare, sempre più spesso ci capita di incontrare reparti chiusi e abbandonati alla loro fatiscenza, con i detenuti ulteriormente stipati nelle sezioni sopravvissute dell'istituto. Il numero di posti ufficialmente conteggiato dall'Amministrazione per quel carcere, tuttavia, rimane lo stesso che era prima della chiusura del reparto. Dai cinquemila ai diecimila posti letto fantasma si sono in questo modo accumulati negli ultimi anni. Non roba da poco, quando ciascuno di essi si traduce concretamente nella presenza di un compagno di cella in più in stanze già soffocate da letti e materassi.
Oggi l'Amministrazione ammette tutto questo. C'è voluta la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, che lo scorso gennaio ha condannato l'Italia per trattamenti inumani e degradanti in relazione al sovraffollamento penitenziario. I numeri pubblicati sul sito del Ministero della Giustizia, già di per sé drammatici, edulcorano e non rispecchiano la situazione reale. Non 47.045 posti letto, come è oggi lì riportato, ma 45.000, come è scritto nella circolare inviata dal Dipartimento a tutti i provveditori regionali. E inoltre, ancora per ammissione dell'Amministrazione Penitenziaria, questo numero non va inteso come corrispondente a quello dei posti effettivamente disponibili, bensì «al lordo delle superfici di reparti chiusi o sottoutilizzati rispetto alle loro potenzialità», come è scritto nella circolare. La quale ammette inoltre che «tale evidenza» era «peraltro già da tempo nota», e invita a prendere provvedimenti entro il 31 maggio prossimo.
Ma quali provvedimenti potranno mai prendere i poveri direttori di carcere? Cosa si sta scaricando sulle loro spalle? Si chiede loro di lavorare per «la progressiva riorganizzazione degli Istituti e la razionalizzazione dell'uso degli spazi disponibili». Che, in assenza di qualsiasi stanziamento di denaro, non può che significare rimandare i detenuti a vivere nei reparti chiusi perché fatiscenti oppure rinunciare più di quanto già non si faccia ora a spazi comuni pensati per le varie attività trasformandoli in dormitori. Niente di buono in nessuno dei due casi.
Ora, quel che ci domandiamo è questo: perché l'Amministrazione Penitenziaria continua a svilirsi tenendo il gioco a una politica pavida e incapace di farsi carico con serietà di un tema così centrale nella convivenza sociale come quello della giustizia e delle carceri? Perché continua a proporre improbabili aggiustamenti invece di denunciare lo stato del sistema che è costretta ad amministrare? Perché non opporsi alla decisione del governo di ricorrere contro la sentenza della Corte Europea solo al fine di perdere e prendere tempo? Se dicesse apertamente davanti alle sollecitazioni di Napolitano e alle sentenze della Corte di Strasburgo che sì, è vero, la situazione delle nostre galere calpesta la dignità umana («Senza dignità», si chiamava il nostro ultimo Rapporto sulle carceri), che è una situazione indecente per un paese che vuol dirsi civile, che si accatastano corpi uno sull'altro senza alcuna prospettiva; se rinunciasse alla propaganda del «Piano Carceri», devolvendo invece alcune centinaia di milioni a progetti di recupero sociale anziché a costruire padiglioni penitenziari che andranno a espropriare aree verdi; se facesse questo, allora il prossimo ministro della Giustizia avrebbe meno scuse dietro le quali nascondersi.
Nelle piazze e per le strade oggi tutti possono contribuire a dare un segnale forte per cambiare lo stato delle cose. Si può aderire alla campagna «Tre leggi per la giustizia e i diritti» (www.3leggi.it) e firmare per introdurre il reato di tortura nel codice penale italiano, per una nuova legge meno punitiva sulle droghe, per tornare alla legalità nelle carceri.
La situazione è sotto gli occhi di tutti (www.insidecarceri.it), anche ovviamente dell'Amministrazione Penitenziaria. La quale, sottraendosi alla propaganda di buona parte della politica, interpreterebbe in maniera dignitosa il proprio ruolo di amministrazione pubblica, al servizio di ogni cittadino e del rispetto dei suoi diritti.
*Antigone

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