EUROPA

«Non fuggiamo, ci cacciano», sono i giovani senza futuro

MADRID - Il collettivo spagnolo combatte contro la precarietà
GROSSO GIUSEPPE,MADRID

Senza casa, senza lavoro, senza futuro. Ma anche senza paura. Così sono i giovani spagnoli secondo Juventud sin futuro (Jsf), l'ennesimo collettivo sbocciato dalla crisi spagnola per far fronte comune, in questo caso, alla precarietà e alla disoccupazione giovanile che in terra spagnola è una peste che affligge il 53% della cittadinanza in questa fascia d'età e sfiora tragicamente il 70% in alcune regioni meridionali. «È da sei anni che insegno come supplente nella scuola privata - racconta Enrique Maestu, studente di filosofia e portavoce di Jsf - e non ho mai avuto un contratto decente». Enrique, a suo modo è fortunato perché un lavoro ce l'ha, anche se inanella un contratto di collaborazione dopo l'altro.
E come lui ce ne sono molti. Giovani - spesso qualificati e in possesso di titoli universitari - rimbalzati da un lavoro precario all'altro, intrappolati in un sistema di becas (i nostri stage) che non garantisce diritti o in un labirinto infinito di contratti a tempo determinato e a condizioni pessime, che sono, nella Spagna di oggi, un ostacolo alla pianificazione di un futuro per i giovani e quindi per il paese.
La riforma del lavoro varata dal Partido popular lo scorso febbraio non aiuta: licenziamenti facili, Tfr al minimo, indennizzi in caso di licenziamento ridotti all'osso. La bilancia pende sfacciatamente a favore dei datori di lavori, mentre i dipendenti si trovano in un totale stato di subordinazione che aumenta esponenzialmente al decrescere dell'età.
Chi può se ne va, portandosi via, ciascuno, un mattoncino dal quale potrebbe partire la ricostruzione della Spagna e che invece va ad arricchire - a costo zero - le risorse di altri paesi. «Ma non sono i giovani che se ne vanno; è che ci cacciano», precisa Enrique, citando uno degli slogan della Jsf che tra le varie attività ha messo in piedi un network di giovani emigrati sparsi per il mondo.
Il danno per il paese è incalcolabile ma il governo non sembra preoccuparsene più di tanto, concentrato com'è a maneggiare la scure dei tagli, che stanno mettendo in ginocchio - tra i vari settori - anche l'istruzione e la ricerca, che va avanti anch'essa sull'inerzia di contratti precari e stipendi molto al di sotto della media continentale. La Spagna, da meta di studiosi europei (moltissimi italiani hanno studiato e fatto ricerca qui nel recente passato pre-crisi) è diventata uno dei simboli della cosiddetta fuga di cervelli.
Una tendenza nefasta che lascia impassibile perfino il ministro del lavoro Fatima Bañez che ha definito questo penoso stillicidio di risorse un fenomeno di «mobilità esterna». Si calcola (non esistono dati certi per la zona Schengen) che ogni settimana circa 1.500 under 30 abbandonino il paese. Molti voltando le spalle a una realtà da cui si sentono abbandonati; altri con l'intenzione di tornare, anche se che - dopo i pronostici dell'Fmi - conviene che aspettino almeno fino al 2018. «Io - continua Enrique - capisco quelli che partono, ma personalmente vorrei restare qui per combattere contro questa situazione». Il movimento Jsf nasce da questa esigenza.
Si riferisce all'instabilità endemica che regola il mercato del lavoro giovanile: l'85% dei lavoratori sotto la soglia anagrafica dei 30 anni ha un contratto precario. «Eppure in Spagna - sostiene Enrique - non ci sono molte possibilità di correggere il tiro. Manca la volontà politica - prosegue - e lo stiamo vedendo chiaramente con questo governo. Non che il Psoe abbia fatto molto per noi, ma il Partido popular non ha mostrato nemmeno un cenno d'apertura nei confronti dei nostri problemi».
Problemi a cui il governo risponde con il mantra della «flessibilità» come panacea. In pochi, ormai, sono disposti a credergli.

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