Ci si sedeva tra nuvole di fumo e urla di avventori che litigavano intorno a un giro di briscola. Si ordinava un bicchiere di vino insieme a qualcosa da mettere sotto i denti, e si ascoltavano le chitarre e le fisarmoniche suonate per mano di volonterosi musicanti. Da decenni questi posti, almeno in Italia, non esistono più, salvo rarissime eccezioni. Pensate ai trani di Milano, alle piole di Torino, alle fraschette romane, ai bacari della Serenissima. Tutti scomparsi, oppure trasformati in locali di finta rusticità, con lista copiosa di etichette e stuzzichini dello chef. Quanto alla musica, neppure una nota. Anche in Europa non stanno meglio. A Parigi i bistrot «à musique» che meritano questo nome si contano sulle dita di due mani, a Madrid e Siviglia i locali con flamenco sono trappoloni turistici, molti pub londinesi con una solida storia alle spalle sono svaniti nel nulla degli arredi high tech e delle evoluzioni dei barman acrobatici, come è successo per non poche birrerie di Berlino.
Ma ogni tanto, quando il dio dei viandanti ci mette lo zampino, capita di entrare nel posto giusto. Esempio di buona sorte arriva da un locale di Bruxelles, città ormai entrata nel cuore degli italiani in cerca di una vacanza urbana. Goupil le fol ha insegna e ingresso in pieno centro, rue de la Violette 22. Incuriosisce lo straniero quel nome che profuma di ricordi scolastici. La volpe Goupil, insieme al lupo Isengrin, è protagonista da otto secoli dell'immortale ciclo di favole medioevali Le roman du Renard. Oltre la soglia, ad accogliere il viandante è l'oscurità, dissolta appena grazie alle luci puntate sul bancone. Il bonsoir arriva da un signore bene in carne, sopra le sessanta primavere. Da dietro la cassa manda uno sguardo esplorativo e selettivo in direzione degli avventori. Poi l'invito ad accomodarsi. Intanto gli occhi si sono abituati al buio, e man mano che mettono a fuoco gli ambienti rivelano il loro elemento principe: il disordine. Le pareti delle tre sale sono gallerie di foto, libri, quadri, insegne di vecchi negozi, affiches di bar d'epoca, pagine di lettere, biglietti di auguri, soprattutto copertine di dischi. Il cammino per trovare dove sedersi incontra mobili, statue, lampade a stelo di ogni altezza e misura, giocattoli, sgabelli, poltrone. Una delle gentili cameriere raccoglie l'ordine.
Nell'attesa, lo sguardo girovaga un po' stranito, per puntare, infine, al soffitto. Da cui pendono centinaia di vinili: tagliati, rotti, integri, piegati nelle forme più strane, radunati a grappoli. La gente, giovani e meno giovani, chiacchiera a bassa voce, per poi unirsi in coro, quando, dalla pancia di un juxe box tutto luci, escono le note delle canzoni di Brel, Brassens, Trenet, Reggiani, Piaf, Becaud, Aznavour, Moustaki, Gainsbourg, Baker... Soltanto canzoni francesi, rivendica Goupil, tunisino arrivato a Bruxelles quarant'anni fa con la precisa idea di mettere su un locale come questo. Ci è riuscita, la volpe. E si guarda intorno sorridente, mentre un piccolo gruppo, da un tavolo, intona «Dans le port d'Amsterdam il y a des marins qui boivent» e improvvisa una ola. Che bello, Goupil. Come sarebbero belli i trani, le piole, le fraschette, i bacari. Se, soltanto, esistessero ancora.
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