VISIONI

Ossessione estetica L'«altro volto» dell'immaginario

PAPPI CORSICATO
SILVESTRI SILVANA,ROMA

Capita raramente che in una conferenza stampa di cinema si finisca a parlare di Max Ophüls o di Billy Wilder, piuttosto che di numeri di copie, ma per un film di Pappi Corsicato in uscita l'11 aprile, Il volto di un'altra, è inevitabile, perché in ogni scena un meccanismo inquietante ci riporta a un classico o a un Bmovie. Gli zombi in bende candide che nell'incipit si muovono nel parco altoatesino sono però decisamente riferimenti ai politici in tv, trionfo della chirurgia estetica, del risciacquo del sangue, del trapianto, di agghiaccianti apparizioni. «Ma non è un film sull'essere e sull'apparire, avverte Pappi Corsicato, mi divertiva fare una variazione come si fa nella musica, sul tema dei media, su cosa succede oggi. Oggi che ci va bene tutto e il contrario di tutto, che ogni cosa ha una doppia lettura, in un senso di totale sbandamento. Quello che succede in questo film è una sequenza dei miei scombinati pensieri». Così ha convocato come protagonisti i belli del cinema e della tv con senso dell'umorismo, Alessandro Preziosi e Laura Chiatti che, assicurano, si sono trovati a fare un lavoro non certo semplice, anzi, il contrario di quello che fa un attore: antinaturalismo per Chiatti, far sentire l'attore che recita indicazione per Preziosi, un andare contro natura insomma, ma è con questo segreto che la commedia di Corsicato prende forma: licenziata dallo show dove il marito, mago della chirurgia estetica cambia i connotati in diretta, lei ha un incidente automobilistico che la sfigura, ma forse la svolta è tendere un tranello all'assicurazione.
«Arte, musica, cinema, estetica, moda, ho messo tutto quello che mi piace nel film», continua Corsicato e certo l'incontro con Gianni Romoli alla sceneggiatura (oltre che alla produzione con Tilde Corsi) ha creato una bella sinergia cinefila: «Il lavoro di sceneggiatura è stato lungo, dice Gianni Romoli, costruito su due piste, una narrativa sui personaggi e un'altra di Pappi che aveva come idea le forme del raccontare. Discutevamo dei film visti, delle storie amate, suggestioni di forme, di generi molto vari, dalle più sofisticate ai cessi che precipitano sulla testa. Non si voleva essere ostici, era necessario che l'intreccio fosse estremamente semplice. Noi sceneggiatori (Romoli e Monica Rametta ndr) gli fornivamo molto materiale e lui asciugava, asciugava». Iaia Forte, «musa» e qui «madre» nel senso di suora, cattiva come tutti i personaggi del film compresi i tirolesi, riporta sullo schermo le cappellone degli anni cinquanta, le ridanciane sisters americane: «Difficile fare le cose che ti chiede Pappi, commenta Iaia Forte, mi aveva chiesto di incarnare la 'negazione dell'evidenza' così questa suora è insieme portatrice di valori e la loro cancellazione». Attenzione però, non si tratta del giochino delle citazioni: «Il riferimento ai generi è sempre stato dominante, non come citazione, ma come rielaborazione» dice il regista e Romoli aggiunge che nella memoria i film presenti a priori erano Franjou, Howard Hawks per i ritmi, per il dialogo, l'amatissimo Non per soldi ma per denaro di Billy Wilder. E Almodovar aggiunge Pappi e poi tutti i film che ha «costretto» i suoi attori a vedere come l'imprescindibile Lettere a una sconosciuta che Preziosi evoca, visto al festival di Torino «che mi ha fatto capire il cinema di Pappi e la regia».

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