POLITICA

Streaming, la lezione americana

TONELLO FABRIZIO,

Cosa avrebbe detto Thomas Jefferson dell'idea di trasmettere in streaming al popolo americano gli incontri fra i delegati alla Costituente? Probabilmente ne sarebbe stato entusiasta: sappiamo infatti che protestò vivacemente con James Madison quando quest'ultimo gli scrisse, il 6 giugno 1787: «Nel mandarti la lista dei nomi (dei delegati, ndr) ho esaurito tutti i mezzi per soddisfare la tua curiosità. Si è ritenuto utile stabilire alcune regole di cautela che per un periodo non breve limiteranno perfino le informazioni confidenziali sui nostri dibattiti, questo per garantire una discussione senza pregiudizi all'interno e per prevenire malintesi e travisamenti all'esterno». Jefferson, allora ambasciatore a Parigi, era per aprire le porte ma Madison tenne duro; è particolarmente significativo il fatto che tutti i delegati, non solo i big, rispettassero scrupolosamente la regola anche nella corrispondenza con le mogli, i fratelli, i compagni di partito.
Questo permise alla convenzione di tornare sui suoi passi più volte, per esempio di cambiare il modo di elezione del presidente esaminando tutte le formule possibili prima di scegliere il metodo del Collegio elettorale, in vigore ancora oggi. I compromessi sul debito pubblico, sulla schiavitù, sulla composizione del Senato non sarebbero mai stati raggiunti se i delegati avessero dovuto assumersene in pubblico la responsabilità: è un metodo che può non piacere ma è servito ad approvare la costituzione scritta più antica del mondo.
Ciò che colpisce, nel leggere le lettere dei delegati a Filadelfia, è la determinazione a mantenere l'impegno preso anche quando una soffiata a un giornalista amico avrebbe potuto avvantaggiare la loro posizione. Richard Spaight del North Carolina scriveva al governatore Caswell: «Avrei voluto concedermi il piacere di scrivere più spesso a Vostra Eccellenza ma, non essendo autorizzato a comunicare ciò che accade nella convenzione, non ho nulla da scrivere» (12 giugno 1787). George Mason, della Virginia, scriveva a Beverley Randolph: «Poiché la convenzione ha deciso che nessuna delle sue deliberazioni debba essere comunicata all'esterno finché è in sessione, questo mi toglie la facoltà di darvi qualsiasi informazione sul tema» (30 giugno 1787). E ancora Madison a Jefferson: «Continuo a essere mortificato per l'impossibilità di rendere nota una qualsiasi parte delle discussioni. Non appena ne avrò la libertà mi farò perdonare per il mio silenzio» (18 luglio 1787).
In un'epoca in cui l'entusiasmo per la "trasparenza" delle istituzioni (o per la pubblicazione dei documenti segreti, come Wikileaks) è alle stelle, riflettere sulla lezione americana potrebbe essere qualcosa di più di una semplice curiosità storica. «Abbiamo detto tutto direttamente, alla luce del sole», ha riassunto mercoledì mattina Vito Crimi, il capogruppo del M5S al Senato, all'uscita dall'incontro con Bersani trasmesso in streaming, una cosa mai accaduta prima negli incontri tra le forze politiche per formare un governo. Ma questo modello di soluzione tecnologica è senza difetti? Un arricchimento della democrazia senza svantaggi? Uno dei problemi che la discussione in pubblico crea è l'irrigidimento delle posizioni: c'è una grande differenza tra il parlare ai propri sostenitori, il parlare a un pubblico indifferenziato e il parlare con gli avversari politici: inevitabilmente, la discussione in tv (o in streaming) si trasforma in una recita di posizioni precostituite, come decenni di talk show dovrebbero averci insegnato.
La pubblicità inchioda alle posizioni precostituite mentre un "parlamento" deve essere un luogo dove poter "parlare", quindi anche cambiare opinione e, se necessario, accettare soluzioni indigeste: far nascere un governo richiede compromessi che non necessariamente si vogliono esibire in diretta, esponendosi agli attacchi di amici e avversari. La novità nella prassi parlamentare imposta dal Movimento 5 stelle è enorme, che essa sia unicamente un vantaggio per la democrazia è meno chiaro. Le soluzioni tecnologiche a quelli che sono problemi politici ignorano alcune lezioni della politica e della storia che forse sarebbe bene ricordare.
Non solo il comportamento dei delegati a Filadelfia: un altro episodio ci viene mostrato nel film di Spielberg su Lincoln. Per far passare il XIII emendamento che aboliva definitivamente la schiavitù, il presidente non esitò a manipolare i deputati, a promettere cariche pubbliche, perfino corrompere in contanti gli incerti. Qualcuno pensa che avrebbe dovuto lasciar passare un'occasione storica attenendosi a un comportamento più ortodosso? Il triste stato della politica americana di oggi è il frutto di molte concause ma tra i fattori di paralisi c'è anche una concezione puramente propagandistica dell'attività parlamentare: deputati e senatori parlano in aula esclusivamente a beneficio di C-Span, il canale via cavo che trasmette i lavori delle due camere.
Le istituzioni parlamentari furono inventate per frenare la democrazia, non per promuoverla. Come scrive Bernard Manin, «le democrazie contemporanee sono nate da una forma di governo che i suoi fondatori contrapponevano alla democrazia». Tuttavia, fino a che non si troveranno formule migliori per far funzionare il sistema, la rappresentanza porta con sé trattative, compromessi, accordi.
Se la parrhesìa, la discussione pubblica senza timori degli antichi ateniesi, è una precondizione della democrazia, non bisogna confondere il "diritto di sapere" con il "diritto di sapere tutto e subito", in particolare nei momenti di fondazione di un governo o di uno stato. La convenzione di Filadelfia non fu un pranzo di gala e gli scontri furono durissimi, in particolare sulla schiavitù e sulla composizione del senato. Il risultato fu tutt'altro che perfetto ma nacquero gli Stati Uniti: una discussione pubblica e in diretta avrebbe portato senza alcun dubbio al fallimento.
La storia d'Italia non ha esempi comparabili di successi ottenuti grazie al senso civico, alla lungimiranza, al pragmatismo dei suoi uomini politici, tranne forse la Costituente del 1946: guardando indietro vediamo piuttosto gli accordi sotto banco, le spartizioni di posti, le collusioni, la corruzione. Se si vuol far funzionare l'ordinamento costituzionale c'è bisogno di una robusta dose di partecipazione popolare ma anche di momenti di discussione che non siano comizi: non tutti gli accordi sono un "inciucio", non tutto ciò che viene detto al bar deve essere gridato dai tetti o postato su un blog. Il gruppo parlamentare 5 stelle ha molta strada da fare per "abituarsi" alle istituzioni che vuole conquistare: per il momento sembra caratterizzato da una ingenuità filotecnologica preoccupante. Ciò che fa la differenza, nella qualità della democrazia, non sono gli strumenti tecnici usati per rendere pubblico il dibattito, quanto il senso dello stato, lo spirito di servizio, la cultura repubblicana che i rappresentanti del popolo possiedono o non possiedono.
Il 3 luglio 1787 Alexander Hamilton, commentando i lavori con George Washington (erano entrambi delegati, quindi non violava il vincolo di riservatezza) scriveva: «Temo che ci lasceremo scappare l'occasione d'oro di salvare l'America dalla divisione, dalla miseria, dall'anarchia». E' un ammonimento che vale anche in Italia, nell'anno di grazia 2013.

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