Finalmente abbiamo saputo cosa pensa Massimo Cacciari del referendum sull'abrogazione del finanziamento pubblico alle scuole private, promosso a Bologna dal comitato che si richiama direttamente all'articolo 33 della costituzione e ha mobilitato la cittadinanza raccolta intorno ai movimenti e alle associazioni, pezzi di sindacato (quello di base con Fiom e Flc) e forze politiche minori (Sel, Idv, il variegato arcipelago della sinistra antagonista insieme al M5S), in sfida aperta con la rappresentanza dell'amministrazione locale e gli apparati dei grandi partiti. Ebbene: Cacciari pensa sia «una sciocchezza» (così da un'intervista sulle pagine locali di Repubblica del 20 marzo). Di più. Se fosse un cittadino bolognese, difenderebbe quei finanziamenti «a spada tratta», dal momento che «i Comuni non hanno più un euro» e che senza le scuole paritarie non ci sarebbero posti per tutti i bambini nelle scuole pubbliche.
Peccato che gli istituti paritari che dovrebbero assorbire gli esuberi che la scuola pubblica allo stremo non riesce più a fronteggiare, non siano scuole per tutti, ma solo per cattolici benestanti (si tratta, per la stragrande maggioranza, di istituti di impostazione confessionale con rette mensili ragguardevoli). E infatti, il sistema scolastico "integrato", varato a metà degli anni '90, incluse alcuni istituti privati nell'alveo del sistema pubblico, aprendo l'accesso ai finanziamenti regionali e comunali. Il comune di Bologna, che in quegli anni sperimentava le alchimie uliviste di Romano Prodi in vista dei futuri, luminosi successi, svolse la funzione di laboratorio: nel 2000 il sistema integrato fu accolto su scala nazionale dal governo di centrosinistra.
Oggi, in una situazione di drammatico definanziamento del sistema pubblico della formazione, le contraddizioni di quel modello esplodono e gli enti pubblici rischiano di non riuscire più a garantire a tutti i bambini e le bambine in età di obbligo scolastico quello che spetta loro di diritto: un'istruzione laica, democratica, qualificata. La soluzione, ovvia e lineare, non può che essere un rimpinguamento delle esangui risorse destinate alla scuola pubblica (piuttosto che il frazionamento di una quota alle scuole private paritarie per sopperire al default di quelle pubbliche). Su questo, il comitato articolo 33 chiama i cittadini e le cittadine bolognesi a esprimersi il prossimo 26 maggio. E la consultazione preannuncia una valenza che travalica i confini comunali per interrogare il mondo della scuola e della politica (oltre che i movimenti) dell'intero territorio nazionale. Per Cacciari, invece, la questione sollevata dal comitato bolognese si configura come meramente «tecnica e amministrativa» ed è inutile invocare la questione di principio («sei eletto per amministrare la città, non per fare altro» chiosa il professore). È l'ennesimo tentativo, da parte dei soliti intellettuali della sinistra radical-chic di aggirare i conflitti e le contraddizioni materiali in nome di geometrie ideologiche effimere (la modernizzazione e la fantomatica interazione pubblico-privato, innanzi tutto). Sarà forse vero, come dice Cacciari, che, a causa del nostro ritardo storico, «siamo l'unico Paese al mondo ancora bloccato allo scontro laici-cattolici, pubblico-privato»; tuttavia, se queste antitesi non sono più la realtà ma solo una sua interpretazione, l'urto del mondo reale (la deriva della scuola pubblica) preme alle porte della politica e non si lascia davvero relegare nel recinto del pensiero.
* Comitato promotore Assemblea Nazionale Università bene Comune (Unibec)