VISIONI

Dieci piccole isole inondate di musica

CAPO VERDE • In un libro scritto da Marco Boccitto e pubblicato da Exòrma, si raccontano le mille storie di un arcipelago che è eterno pendolo fra Lusitania e Africa
FESTINESE GUIDO,

Chi ama molto la buona musica, tanto da considerarla compagna di viaggio preziosa e necessaria quasi in ogni momento della vita, al di là e oltre l'assedio della cattiva musica imposta ovunque e comunque nel pessimo «soundscape» contemporaneo in genere non si accontenta della sola musica. Discorso forse due volte vero per chi si occupa professionalmente di musiche afroamericane, quel corpo complesso, labirintico e proteiforme di note non pacificate che bisogna far risalire agli inizi dell'era moderna, ben prima dei trionfi di popolarità del secolo appena conclusosi.
Amare molto le musiche afroamericane significa aver compreso che quelle note, quella sintassi, quelle pronunce spesso in antitesi con i parametri stabiliti dall'Occidente che crede di essere misura di ogni cosa e valore, non sono solo note. Sono un mondo che comprende anche le note. Per capirle bisogna avere la documentata precisione della storico, la curiosità mordente del viaggiatore e del cronista non per caso, il fiuto del sociologo, la sonda (che è assieme microscopio e cannocchiale) dell'antropologo. E poi bisogna avere stile e leggerezza, per non rendere il tutto una minestra nutriente sì, ma ben poco digeribile.
Marco Boccitto non ha bisogno di presentazioni, in questo senso, troppo nota la sua vicenda all'interno di questo giornale. Potremmo cavarcela dicendo che chi apprezza soprattutto il Boccitto come rifinita, calda voce radiofonica, ne ritroverà cadenze, inflessioni, passione musicale e politica vera, schiumate sul contropelo alla storia in un libro piccolo, colto e prezioso che mancava, tra i testi che cercano di fare il punto sulle note afroamericane. Si intitola Capo Verde un luogo a parte, sottotitolo assai rivelatore Storie e musiche migranti di un arcipelago africano (Exòrma). Storie e musiche, al plurale: perché la decade di isole (molto) al largo del Senegal finita tempo fa in un provvisorio cono di luce grazie all'ambasciatrice musicale Cesária Évora è parte fondamentale non di una sola storia, ma di mille storie sfaccettate che convogliano, in cinque centinaia d'anni, uomini usanze etiche religioni valori diversi e non complementari. E poi ci sono le «musiche migranti», che davvero sono un bel banco di prova per dei lembi di terra piuttosto aridi (per il saccheggio ambientale degli uomini predatori, più che per natura, ci racconta Boccitto) considerati via via sentinelle-presidi in mezzo all'Oceano, luogo di passaggio dell'infinita pena dell'Atlantic Crossing, il viaggio senza ritorno degli schiavi verso le Americhe, rifugio di assassini e prostitute e fuorilegge, zona di saccheggio per le navi con il teschio e le tibie sui pennoni, perfino tana di sopravvivenza, nell'interno, per cristiani estremisti con l'odio per il ferro che trafisse i polsi di Cristo, e dunque per ogni attrezzo metallico. Ed eterno pendolo tra Lusitania e Africa.
La musica di Capo Verde, dunque, è ben più e ben al di là di quella formuletta un po' vaga che ci racconta della morna intrisa di «sodade» parente stretta della «saudade» che si respira e suona nella terra di Pessoa, fluidificante linfa sentimentale nelle arterie del fado. La musica di Capo Verde è una meticcia «deriva triangolare tra Africa, Brasile e penisola iberica (...) in un continuo gioco di sponda che se ne infischia del senso di marcia o del diritto d'autore», come ci dice efficacemente Boccitto. Agile sulla pagina nel ricostruire rivoli e filoni che innervano anche, in un vertiginoso gioco fra invenzione e tradizione, coladera e nuova canzone d'autore, prestiti dallo zouk antillano e nuove modulazioni del funanà. Ed ancora batuque e finaçon e rap in salsa capoverdiana.
Infine, il testo di Boccitto è raccomandabile anche per altre ragioni, e di ficcante intelligenza reattiva rispetto ai dogmi del sedicente «libero mercato».
Nel momento in cui grandi case editrici declinano senza neppure un «no grazie» proposte per titoli che non abbiano già sulla carta - è il caso di dire - l'appeal mellifluo dei grandi numeri, sta nascendo qualcosa di diverso. Exòrma, piccola casa editrice con un'ottima idea di divulgazione di alto profilo (è editore di riferimento a Roma del Festival della letteratura di viaggio, giunto lo scorso anno alla quinta edizione) collabora con l'Osservatorio dei Lettori. Cosa significa? Significa che in un momento in cui, per usare le parole scelte dallo stesso editore «il lettore consapevole si sente assediato dall'omologazione culturale», si tratta lo stesso di difendere e rilanciare la bibliodiversità, riuscendo a pubblicare nuovi titoli importanti a prescindere dalle vendite stellari.
L'Osservatorio valuta assieme all'editore, individua e sceglie, poi sostiene economicamente almeno in parte la pubblicazione del testo giudicato meritevole: così facendo il libro esce per davvero, e a prezzo contenuto per tutti. Speriamo che, a partire da Capo Verde di Boccitto si inneschi una proficua bibliofilia virale.

APPUNTAMENTO DA FANDANGO

Domani, alle ore 18.30, presso la Fandango Incontro
a Roma (via dei Prefetti 22), avrà luogo la presentazione del libro «Capo Verde un luogo a parte. Storie e musiche migranti di un arcipelago africano», pubblicato dalla casa editrice Exorma per la collana «Scritti traversi» (pp. 190, euro 12,90). Insieme all'autore Marco Boccitto, scorreranno le immagini di Marzio Marzot, le parole di Jorge Canifa, accompagnate dalla «mediazione culturale» di Maria De Lourdes e dalla partecipazione sonante di Adão Ramos & Som d'Ilhas. Il libro racconta la musica capoverdiana, la sua storia e i suoi colori attraverso la voce della «diva a piedi nudi» Cesaria Evora, la poesia di Eugenio Tavares, B. Leza, Bana e tutti gli altri.

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