POLITICA

Dov'è finita la democrazia dal basso?

CANDIDATURE
CACCIARI PAOLO,

Oggi dovrebbe essere il mio giorno di elettore felice: ho saputo che sono stati designati come candidati vincenti nella mia circoscrizione (Venezia, Treviso, Belluno) Alberto Lucarelli per Rivoluzione civile e Giulio Marcon per Sinistra Ecologia Libertà. Due persone che stimo moltissimo, con cui sono legato da tempo da lavori in comune ed anche da una conoscenza e amicizia personale. Penso di dovere molto ad Alberto di quel poco che ho imparato sulla critica del diritto e a Giulio su come si interviene nel sociale, già ai tempi di Lunaria. Abbiamo organizzato assieme ricerche, impiantato manifestazioni e attività e - per quel che conta - posso garantire delle loro competenze, capacità di lavoro e umanità.
Dove sta il problema, allora? Che le assemblee di Cambiare si può, arancioni e partiti della coalizione di Ingroia avevano indicato come capolista Maria Rosa Vittadini, mentre le combattutissime primarie di Sel hanno visto la vittoria di Rita Zanutel. Maria Rosa è una urbanista delle più rinomate esperte in trasporti in Italia. Presidente della Commissione nazionale della Valutazione di Impatto Ambientale "epurata" dal governo Berlusconi. Non vi è comitato territoriale impegnato contro le grandi opere che non abbia avuto da lei aiuto, consigli, consulenze. Con Rita ho condiviso tutta la mia vita politica nel Pci prima e in Rifondazione poi. Ha una lunga esperienza di amministratrice pubblica dove si è conquistata una stima e un riconoscimento unanime. Anche loro due sono mie amiche e posso assicurare che saprebbero svolgere benissimo e utilmente le funzioni di parlamentari.
C'è quindi qualcosa di "essenziale" (come si chiedeva Alberto Burgio su il manifesto di oggi a proposito della lista Ingroia) che non va bene, almeno per chi crede che il metodo sia parte integrante della sostanza. Difficile credere alla "democrazia dal basso" quando non si riesce ad essere coerenti in casa propria. Proprio Alberto Lucarelli (su il manifesto del 4 gennaio) ci ricordava che «la crisi della rappresentanza» comprende i «sistemi di selezione» e le «modalità di investitura» dei leader. Per cui sono necessarie e urgenti «nuove forme della politica (...) attraverso un continuo collegamento con i movimenti, con i territori, le pratiche locali e le forme più evolute della democrazia diretta e partecipata».
Non si tratta di discorsi nuovi. Nella mia biblioteca è sempre in bella vista un libro degli anni del dopo Genova di Giulio Marcon, Come fare politica senza entrare in un partito (Feltrinelli 2005) che, come scrive nella prima riga: «E' un libro a favore della politica diffusa e ha come protagonista la società civile». E spiega: «La differenza tra le organizzazioni della politica diffusa e dei partiti è sostanzialmente nelle funzioni dell'esercizio della rappresentanza politica ed elettorale, della selezione del personale politico e della gestione della cosa pubblica». Giulio da sempre propone il «depotenziamento della politica tradizionale (i partiti) a favore di forme di politica orizzontale, fondate non sul potere e la sua gestione dall'alto, ma sulla partecipazione e l'autogestione dal basso».
Principi e concetti di cui dovremmo riconoscere un debito di riconoscimento alla «critica femminista alla forma partito» (per citare Maria Luisa Boccia), cioè a quelle logiche interne, gerarchie, centralistiche, competitive, autocelebrative... che - e non sarà un caso - alla fine portano (anche) a favorire i maschi.

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