PRIMA

Non lascio, ma raddoppio

GIORNALISTI AL VOTO
NATALE ROBERTO,

Scelta nobile o abdicazione?», si chiede Giorgio Salvetti sul manifesto a proposito dei giornalisti candidati alle prossime politiche. Né l'una né l'altra, direi: piuttosto la naturale conseguenza di anni nei quali l'informazione (coi devastanti tentativi di controllarla) ha rappresentato e ancora rappresenta un nervo scoperto, un filo dell'alta tensione, un misuratore della nostra distanza dalla mitica Europa. Anni e problemi dei quali tenere memoria, per non cadere in qualche errore.
L'errore di credere che la serata di Servizio Pubblico abbia «chiuso un ventennio» (come in troppi hanno affermato) e che su quei nodi irrisolti si possa passare la stessa veloce spolverata che Berlusconi ha dato alla sedia di Travaglio.
Candidandomi con Sel, non ho da cambiare una virgola delle richieste che per anni ho sostenuto come esponente del sindacato dei giornalisti. Non si tratta di "spostare a sinistra" l'informazione italiana, ma di guardare in faccia la gracilità del nostro pluralismo e di irrobustirne l'autonomia dai poteri (politico, economico, finanziario). La carta d'intenti della coalizione progressista lo dice così: «Sono essenziali norme stringenti in materia di conflitto d'interessi, legislazione antitrust e libertà dell'informazione». Quegli interventi che il centrosinistra ha colpevolmente evitato nelle sue precedenti esperienze di governo, e che stavolta dovrà mettere invece nell'elenco delle prime azioni, se non vuole perdere la residua credibilità agli occhi dei tanti cittadini che in questi anni hanno saputo riempire le piazze pur di non farsi sequestrare il diritto all'informazione messo a rischio dalle leggi-bavaglio.
La concentrazione delle risorse pubblicitarie in capo alle tv nazionali (ad una tv, in particolare) rimane totalmente anomala rispetto ai parametri internazionali, ma non ha suscitato nessun interesse nell'europeo Monti. Intanto l'emittenza locale sta spegnendosi, come per un'epidemia: si stima che in questo 2013 la combinazione tra calo della pubblicità e passaggio al digitale terrestre metterà in crisi 300 delle 500 tv. Così come si fa sempre più flebile la voce dell'editoria di idee, di partito, cooperativa, di associazionismo. Brucia il fatto che esperienze reali, non giornali finti stampati per marcire in tipografia, debbano pagare per le truffe dei faccendieri. E la coalizione progressista è chiamata a contrastare l'idea monti-grillina che ogni euro di intervento pubblico sia uno spreco. Serviranno misure di sostegno - assegnate col massimo rigore - per correggere una deriva che tende a riconoscere diritto di parola quasi soltanto a chi ha dietro grandi capitali, dunque anche grandi conflitti di interesse. Non è accettabile che sia questo mercato italiano, così sfigurato da storture e concentrazioni, il giudice supremo della vita dell'informazione.
In questo quadro, ancora più importante è il ruolo che potrà svolgere un servizio pubblico radicalmente riformato. Serve una Rai che non sia al laccio del governo di turno (anche se sarà un governo di centrosinistra) e che si ricordi di marcare la sua diversità di contenuti rispetto all'emittenza commerciale: c'è voluta la straordinaria mobilitazione di "Se non ora quando" per farci capire quali guasti abbia prodotto la mancata risoluzione del conflitto di interessi sui valori, sull'etica, persino sull'estetica. E la rete dovrà essere sottratta alla voglia di bavaglio che troppo spesso la investe: piuttosto va usata come grande motore di trasparenza, come l'antidoto più potente alla corruzione amministrativa. Per i giornalisti interessati a difendere l'autonomia dell'informazione, è lungo l'elenco delle cose da fare in parlamento: che non per forza deve essere il "bordello" deprecato da Montanelli.

* ex Presidente Fnsi, ora capolista Sel per il Senato in Umbria e Abruzzo

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