REPORTAGE

La decontaminazione è solo di facciata

IN VISITA UFFICIALE - Nella zone colpite
ZOPPE MONICA,FUKUSHIMA

Sullo sfondo montagne innevate, boschi e ruscelli in parte ghiacciati. A fondovalle, tra i campi nel riposo invernale, gruppi di case sparse, ognuna con il suo orticello, i vasi di piante e fiori, la bicicletta parcheggiata e il sentiero di accesso che invita alla porta. Solo che non c'è anima viva: tutto è come sospeso.
Siamo a Iitate, sui monti che separano i paesi della costa dall'entroterra in cui siede la città di Fukushima. Viaggio con una delegazione internazionale, riunita grazie a un gruppo di associazioni giapponesi contro il nucleare, che ha organizzato Nuclear Free Now!, conferenza globale per un mondo libero dal nucleare. L'occasione l'ha fornita il governo giapponese, che insieme alla Agenzia Onu per il nucleare (Aiea) ha indetto la Conferenza Ministeriale sulla Sicurezza Nucleare (Fukushima Ministerial Conference on Nuclear Safety) con l'intento di tranquillizzare la popolazione e rilanciare il nucleare in Giappone. Tra gli scopi della conferenza Nuclear Free Now! c'è proprio quello di contrastare il tentativo di chiudere il sipario su Fukushima, magari dichiarando il «cessato allarme», e amplificare invece le voci delle vittime locali, i cui problemi sono ben lontani dall'essere risolti.
La mia presenza, quale testimone della vittoriosa battaglia referendaria contro il nucleare in Italia, ha anche lo scopo di diffondere fuori dal Giappone la vicenda di queste persone (centinaia di migliaia) che dopo il momento iniziale sono ora lasciate a se stesse, in balia delle istituzioni governative.
Prima di partire, alcune raccomandazioni: «Questa zona è soggetta a continue scosse e rilasci di materiale contaminato: se succede qualcosa seguite le istruzioni e usate la maschera per evitare di respirare particelle radioattive. Al rientro stasera pulite bene le vostre scarpe e fate una doccia completa, lavando accuratamente soprattutto i capelli a cui possono aderire le particelle». Incoraggiante. Per fortuna il giornale di oggi, insieme alle previsioni del tempo e al tasso di inquinamento, segnala che il livello di radioattività è limitato.
Durante il viaggio in pullman, un giovane di Iitate, uno dei paesi evacuati, ci racconta il momento dell'esplosione, i giorni successivi e infine l'evacuazione. Iitate, un paese di circa 6.300 persone, dista oltre 30 chilometri dalla centrale di Fukushima Daiichi, ma si trovava sotto vento ed è stata colpita in pieno dalla piuma radioattiva. I primi ad afferrare la situazione furono i giovani, che hanno cominciato a organizzarsi prima delle raccomandazioni del governo, arrivate con oltre una settimana di ritardo. Le indicazioni, riferisce la nostra guida, furono di allontanarsi dal paese, ma entro il comune di Fukushima, entro un raggio di circa un'ora di spostamento. Tuttavia i rifugi di città erano già occupati dalle vittime del terremoto e dello tsunami, e ci vollero oltre tre mesi per trovare una sistemazione a tutti gli abitanti.
Fatto sta che, una volta evacuati, gli abitanti di Iitate si trovano in condizioni difficili: molte famiglie vivevano in grandi case multi-generazionali, mentre i rifugi sono di solito singole stanze sparse in tutta la città. E va ancora bene quando erano almeno vicini di casa. Sono assai frequenti i casi in cui una persona - di solito il padre - è rimasto in zona, dove nonostante il divieto di residenza molte aziende sono ancora attive, mentre madre e figli si sono spostati in aree non contaminate. Questo ha sfaldato il tessuto sociale, sia all'interno delle famiglie che nelle comunità, in cui non c'è accordo su quale condotta tenere. Infatti il governo riconosce un risarcimento agli evacuati, ma solo quelli «autorizzati»; e la situazione potrebbe cambiare a breve, se verranno innalzati i limiti di tolleranza sulle radiazioni e se saranno considerate abitabili alcune aree «decontaminate».
Ma è possibile decontaminare un'area di montagna? Il governo giapponese ha inviato le ruspe per asportare i primi 15-20 cm di terreno dai campi coltivati, nella speranza di ridurre la contaminazione e rendere vivibile l'ambiente, ma l'impresa è disperata: si potranno lavare i tetti (col risultato che la polvere radioattiva passa nell'acqua e poi direttamente nella terra), si potrà accumulare suolo contaminato in grandi cumuli (nessuno sa che fine faranno), ma non sarà mai possibile lavare i boschi, i prati, i ruscelli. Per gli abitanti di Iitate la vita come prima è ormai perduta per sempre. Anche la gestione della «decontaminazione ambientale locale» è molto dibattuta: il lavoro stesso di rimozione della terra e lavaggio dei tetti è pericoloso per chi lo conduce, spesso giovani, e molti ritengono che non sia risolutivo di nulla: anche ammesso che alcune aree ben delimitate possano tornare «pulite», la parte fertile del suolo viene rimossa, vanificando anni e anni di coltivazioni spesso biologiche e/o biodinamiche.
Infatti, questa comunità di montagna aveva sviluppato un sistema di economia solidale e alternativa grazie anche all'apporto di persone che, un po' come è successo da noi, lasciavano la vita di città per tornare a un modello più naturale, coltivando la terra, raccogliendo i frutti del bosco e cacciando i cinghiali che abbondano qui, come nei nostri boschi. Era diffuso l'allevamento di mucche di qualità, famose in tutto il Giappone; alcuni avevano galline o anatre, altri coltivavano i campi, lavoravano la legna e fabbricavano oggetti tradizionali. Spesso gli scambi tra paesani avvenivano in natura, secondo un'economia ricca più di qualità che di denaro, e un modello fatto di relazioni tra persone, di amicizie e discussioni, di condivisione di beni come il bosco, i suoi frutti, la legna...
Si capisce che per queste persone, finire in alloggi temporanei in qualche periferia senza terra né boschi equivalga alla distruzione della loro vita. Molti oggi soffrono per il fatto di essere lontani dalla famiglia e senza alcuna attività, il disagio di vivere chiusi in un appartamento, loro, abituati al lavoro magari duro, che dava un senso alla loro vita di contadini - senza parlare delle famiglie disperse.
Pochi chilometri e qualche valle più in là, la situazione è diversa ma non migliore. Oguni, frazione nel comune di Date, è più vicina alla città di Fukushima, a 55 chilometri dalla centrale esplosa; qui i livelli di contaminazione sono stati evidenziati solo grazie all'intervento di un'associazione francese, in seguito alle cui denunce, e con gravissimo ritardo, le autorità hanno identificato una serie di punti specifici per cui si raccomanda l'evacuazione (Specific Spots Recommended for Evacuation): solo intorno a metà giugno 2011, oltre tre mesi dall'inizio dell'esposizione.
Qui alcune case sono state evacuate, mentre altre magari a pochi metri di distanza sono state classificate «vivibili». I criteri adottati dal governo per decretare l'evacuazione di alcuni nuclei familiari comprendono fattori diversi, tra cui la presenza di bambini e il livello di contaminazione. Tuttavia questo ha significato disgregare il tessuto sociale: perché questo «altrove» si può trovare a pochi chilometri come a diverse centinaia.
Qui gli abitanti si sono organizzati, hanno acquistato collettivamente uno strumento affidabile per la misurazione della radioattività e hanno compilato una mappa dettagliata della valle. I contadini organizzati portano al centro autogestito i loro prodotti prima di mangiarli o di metterli sul mercato locale. Anche qui però il paesaggio è dominato dai grandi cumuli, coperti di teli blu, sotto i quali è «nascosto» il suolo radioattivo. Quest'operazione è spacciata per «decontaminazione», al punto che alcune aree in cui è stato raggiunto un livello di esposizione minore di 20 millisievert (mS) annui, sono poi dichiarati «puliti». Ma trasferire materiale contaminato da un campo all'altro non risolve il problema, semplicemente lo sposta; d'altra parte anche il livello di 20 mS annui, che corrisponde al massimo ammesso in Italia per i lavoratori esposti per ragioni professionali, non è un livello di sicurezza accettabile per la popolazione.
Per questo ci sono associazioni che cercano di organizzare soggiorni per i bambini in aree decontaminate. Infatti, se la provincia di Fukushima conta in totale circa 160.000 sfollati ufficiali, di cui oltre la metà fuori dai confini provinciali, per Iitate, la frazione di abitanti che si sono allontanati è solo dell'11%.
Durante la nostra visita ai paesi della provincia di Fukushima, abbiamo incontrato diverse stazioni di misurazione della radioattività, disposte dalle istituzioni per monitorare la situazione. Nella delegazione con cui viaggio, che include esperti provenienti da molti paesi, molti sono attrezzati con contatori Geiger. Ebbene, in tutte le postazioni i dati rilevati dai nostri contatori sono sempre molto superiori, a volte doppi, rispetto a quelli rilevati dagli strumenti ufficiali, che sono spesso posizionati in modo da attutire la radiazione, sopra piattaforme di cemento, magari con lastre isolanti nelle vicinanze. Più che proteggere la popolazione, sembra che la maggiore preoccupazione delle autorità sia «tranquillizzare». E il governo, ci spiegano, sta spendendo cifre enormi in questa operazione: 50 milioni di yen per abitante (circa 440.000 euro). Molti la ritengono un'operazione di facciata, tanto più che anche nelle aree «ripulite» il livello di radioattività è ridotto al massimo del 40%. Con una cifra equivalente, se corrisposta alle famiglie, le persone potrebbero davvero ricostruirsi una vita in un'area pulita, portandosi dietro il bagaglio di un'esperienza che, se ha segnato tutto il Giappone, per gli abitanti della provincia di Fukushima significa avere un nuovo scopo: combattere il nucleare sempre e ovunque.

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