INSERTO

La città smart del nuovo millennio

Botti di inizio anno 2013 •
CIORRA PIPPO,

Visto che le «agende» in questa fine di anno non mancano, proviamo a individuarne una anche per l'architettura e l'urbanistica, a partire dal ruolo che le due discipline in oggetto possono svolgere nel XXI secolo sulla scena planetaria. E' vero infatti che in questo campo il nostro paese è pieno di ritardi, distorsioni e problemi specifici. Ma è vero anche che il bisogno di rinnovamento e ridefinizione degli obiettivi riguarda l'architettura e le discipline urbane globalmente, perché globale è la crisi delle città, dell'ambiente, dell'idea stessa di abitare e di sfera pubblica. Il primo punto da chiarire allora è il cambio di paradigma rispetto alla fine del secolo scorso. Per molta parte del Novecento, infatti, e ancora e soprattutto nei suoi ultimi decenni, la ricerca architettonica si è concentrata soprattutto sull'ideologia e sul linguaggio espressivo. Ci interessava sapere soprattutto se un edificio appariva più o meno moderno, progressista, espressionista, funzionalista, postmoderno, decostruzionista, minimalista, spettacolare ecc.. Con l'eccezione della centralità politica e utopistica degli anni '60, quando il «territorio» aveva preso il posto dello spazio. Il XXI secolo si è aperto invece sotto un segno molto diverso, il territorio è diventato «ambiente» e le discipline dello spazio hanno dovuto cominciare a concentrarsi su temi molto più legati al rapporto concreto che la società instaura con il proprio ambiente. Ne deriva allora un'agenda basata su parole d'ordine diverse rispetto al lusso e alla meraviglia degli anni '80 e '90, almeno per i paesi occidentali. Ambiente, energia, riciclo, paesaggio, comunità sono allora le parole chiave ricorrenti nel tentativo di attrezzare il progetto con strumenti adeguati ad affrontare il presente. Con una qualche assonanza con il periodo più impegnato dell'architettura del Novecento, vale a dire il succitato dopoguerra, il centro del discorso architettonico torna ad essere la città, alla quale tutti chiedono di diventare non solo democratica e accessibile, ma soprattutto smart , capace cioè di trasformare in progresso economico e sociale le scelte virtuose in campo produttivo, amministrativo e ambientale. Se l'architettura di mezzo secolo più indietro era la rappresentazione di un'idea tutta industrialista del welfare, le ricerche più avanzate di oggi inseguono un'idea di welfare rinnovata e complessa, meno legata al Pil e a una c o n c e z i o n e dell'abitare legata a una supremazia dell'industria che non è più tale. Davanti a questa sfida gli architetti più consapevoli possono reagire in due modi. Il primo è quello di arroccarsi nell'autonomia della disciplina, fatta di storia e lògos, lasciando poi al tempo e alla società il compito di costruire le relazioni e i dispositivi necessari a far funzionare gli edifici e i piani. Il secondo è quello di farsi carico delle urgenze politiche e ambientali del presente e trasformarle in materia prima (possibilmente duttile) del progetto. Entrambe le opzioni hanno dei rischi. Quelli legati alla prima soluzione sono evidenti e hanno a che fare con l'arroccamento e la chiusura. I secondi sono più sottili e penetranti e possono portare all'impoverimento e alla progressiva sudditanza della disciplina. Per evitare questo rischio, e per non rendere superfluo il loro stesso lavoro in una visione puramente tecnica, agli architetti si chiede allora di non rinunciare alla natura creativa e «vicina all'arte» del loro impegno, di riversare sempre le istanze politiche e ambientali in una ricerca espressiva e di comunicazione. Ai progettisti, insomma, spetta di trasformare le esigenze del proprio tempo in un dispositivo e in uno spazio sociale. Per questo il campo d'azione dei nostri pensieri rimane sempre la città, nelle sue mille e diverse forme contemporanee, intesa come il luogo dove gli umani esplicitano la loro natura sociale. E poiché gli architetti italiani, quando non si perdono nel rimpianto e nella nostalgia, la questione della città la conoscono bene non dovrebbe essere così difficile trovare per loro uno spazio adeguato nello scenario che ci sta davanti.

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it