Narrare la Cina di oggi attraverso un microcosmo di non vedenti, sfidando con poetico realismo il crinale della normalità, è quanto riesce a una costruzione letteraria a tema che dal particolare giunge all'universale: sta qui la particolarità di un romanzo come I maestri di tuina, dello scrittore cinese Bi Feiyu (traduzione di Maria Gottardo e Monica Morzenti, Sellerio, pp. 408, euro 16). Qualcosa di simile era già sato tentato in quel condominio dell'esistenza disegnato da George Perec che era La vita: istruzioni per l'uso. Qui, nel libro di Bi Feiyu, invece, il vincolo, il gioco letterario è rappresentato dal descrivere la realtà così ne fa esperienza un gruppo di personaggi dediti al tuina, antica arte del massaggio cinese che, essendo ciechi, possiedono una eccezionale sensibilità tattile oltre a particolari abilità nel conversare con i clienti. Grazie alle loro mani vivono, amano, si conoscono, si arricchiscono, litigano e soffrono in un mondo di suoni, odori e sensazioni tattili. Il gioco narrativo finisce per aderire perfettamente alla realtà e Bi Feiyu riesce con levità e acutezza calviniane a farci «vedere» attraverso dei ciechi, approdando a una immediatezza che è qualità inedita rispetto ad altri autori cinesi contemporanei.
L'unità di luogo è data dal centro massaggi di Nanchino, dove questi individui, donne e uomini - ciascuno straordinario nella propria ordinarietà - incrociano i loro destini, come in un romanzo, appunto, di Calvino; il tempo è la Cina del nuovo millennio, in cui il tuina è una forma speciale di manodopera d'alto livello, un business fortunato per «gente sempre sfiorata dai soldi, come fossero fiocchi di neve durante una tempesta». Tra questi, il dottor Wang che «aveva la netta sensazione» che «i soldi fossero come impazziti e facessero di tutto per infilarglisi nelle otto fessure delle dita delle mani». Al pari di milioni di cinesi inghiottiti dal vortice di uno sviluppo obbligato, un altro memorabile personaggio del romanzo, il direttore del centro, Sha Fuming, ha carpito il senso di questo vortice: «o produci per qualcuno o qualcuno produce per te».
Questa specialissima dimensione esistenziale dominata dalla cecità è raccontata con una sensibilità sorprendente e una lingua briosa, tattile nella sua capacità di far toccare anche al lettore le superfici ora cave ora sporgenti della vita e dei sentimenti, guidandolo a capire come la fragilità del cieco, l'oscurità e la precarietà alle quali è condannato, non siano che una traduzione segnata nel corpo di quella oscurità e di quella precarietà in cui vive ogni uomo. Diversa era la metafora esistenziale della cecità nell'omonimo romanzo di José Saramago che allude allegoricamente all'incoscienza morale del genere umano, condannato a non riconoscere l'inferno fuori di sé.
L'«opificio potenziale» di Bi Feiyu si dipana in una serie di ritratti collegati tra loro a formare la trama del romanzo: per ciascun maestro sono narrati l'origine della propria menomazione e il rapporto intrattenuto con essa, le vicende personali che ne fanno un individuo, unico fra i tanti, in un popolo troppo spesso rappresentato come massa omologata. Il tuina diviene man mano metafora di un approccio alla realtà, non solo di questa singolare microsocietà, o della società cinese contemporanea, ma dell'intera società umana. Ogni capitolo è dedicato a uno dei maestri o alle relazioni che si instaurano fra loro: d'amore, di sesso, di denaro, di gelosia, di amicizia, come in qualsiasi altro paesaggio umano. Il buio degli occhi rimanda al buio del cuore, che si tratti di indovinare i sentimenti del proprio compagno o l'andamento capriccioso della Borsa. Così il braille è un codice per leggere il mondo: i ciechi - osserva Bi Feiyu - più che comprendere il mondo sanno usarlo. Nella loro oscurità sapiente, i maestri di tuina «sono immersi nell'instabilità delle cose del mondo», e sono spesso tormentati, talora illuminati, da riflessioni profonde e inesauste, allo stesso modo dei vedenti, visitati semmai da una più «dolorosa» incomprensione. Innamorato di una collega, il direttore Sha s'interroga ansioso sul significato della bellezza, della quale ha solo udito parlare. «Sui libri è scritto che la bellezza è il sublime. Che cos'è il sublime? Sui libri è scritto che la bellezza è grazia. Che cos' è la grazia?».
Un altro giovane maestro, Xiao Ma, esplora invece la dimensione del tempo che «a volte è duro a volte è morbido, a volte è all'esterno dei corpi, altre all'interno; tra il tic e il tac può esserci uno spazio di dubbio o può anche non esserci». «Può avere forma e anche non averla». Alla fine il giovane, scacciando il condizionamento esercitato da un lontano ricordo precedente alla perdita della vista, giunge alla conclusione «che il tempo non è tondo, non è triangolare e non è chiuso» e che «davanti al tempo tutti gli uomini sono ciechi». Confortato dalla scoperta che «non vedere è un limite, ma anche la vista può esserlo», Xiao Ma accetta la sua cecità come sublimazione della condizione umana, e affronta il futuro con «ieratica solennità», nell'illusione che la vita sia «controllo e ripetizione».
Nato a Nanchino nel 1964, già autore del folgorante Telecomando pubblicato in Cina, antologia di narratori contemporanei uscita per Isbn nel 2006, Bi Feiyu si distacca tuttavia dalla rottura con il sistema letterario cinese di alcuni suoi coetanei, tra i quali Han Dong e Zhu Wen, preferendo al nichilismo una precisa scelta estetica e etica. Il suo è un realismo interiore, che non indugia nel «sensazionismo» di superficie, ma si cala nel profondo del perturbante cambiamento cinese, con la leggerezza di un cantastorie moderno. Nel suo delicato viaggio all'interno della disabilità, rispetto alla narrazione apocalittica di Saramago, Bi Feiyu elude l'abisso, offrendo una lettura positiva e densa di umorismo circa il limite e la terribile imperfezione umana.
È infatti sfruttando questo limite e questa imperfezione che i maestri di tuina conseguono la perfezione dei loro massaggi, passando gran parte del loro affaccendatissimo tempo tra i lettini del centro, dove fanno esperienza del mondo attraverso il contatto epidermico e vocale con i clienti. E nei momenti di pausa sanno tessere tra loro complicate e struggenti storie d'amore, uno dei temi più vibranti, sul quale Bi Feiyu esercita il suo virtuosismo descrittivo tra ironia e sensualità.
L'amore paziente tra il dottor Wang e Xiao Kong, che ha promesso ai genitori di non sposare un cieco; la passione testarda e metodica di Jin Yan per il taciturno Xu Tailai, che si vergogna più del proprio rozzo dialetto che della cecità; la filosofica ricerca della bellezza che per Sha Fuming si incarna e si esaurisce in Du Hong; il desiderio irruento e rivelatorio di Xiao Ma per una giovane prostituta.
Plastica e diretta anche nell'ottima resa italiana, la scrittura mimetica del parlato affabula il lettore, per nulla spaesato dalla doppia alterità dei non vedenti e dal contesto cinese, e lo rende partecipe degli interrogativi e dei rovesci emotivi o economici di questa compagine incerta tra pura sopravvivenza e pienezza dell'esistere. Nel mirabile condominio umano inventato da Bi Feiyu è una sagace pressione delle mani, a tentoni tra gli inganni dell'anima e delle parole, a sondare la vita e a riscattarne le perdite, dato che la vita - commenta il cantastorie - «aggiunge e sottrae, oggi qualcosa in più, domani qualcosa in meno». Ma proprio «quel qualcosa in più o in meno è ciò che le dà il suo vero volto, che la rende interessante, bella e imprevedibile».