CULTURA

Le città italiane hanno perso il tram

CIRCOLARE, CIRCOLARE
CRICONIA ALESSANDRA,

Quanto la qualità urbana sia funzione di un trasporto pubblico efficiente è qualcosa di cui chiunque ha fatto, prima o poi, esperienza: basta essersi trovati in città con una buona rete della metropolitana per aver capito come riesca a semplificare la vita un trasporto pubblico che consente di arrivare ovunque in tempi ragionevoli e di guadagnare così pezzi di giornata da dedicare al cinema, alle mostre, alla palestra e a quanto una città moderna offre come opportunità.
Esiste cioè una soglia qualitativa del vivere in città che è commisurata all'estensione e all'efficienza della rete del trasporto pubblico tanto è vero che tra le città dove le persone preferiscono abitare, figurano quelle con reti dei trasporti pubblici integrate e sostenibili: Londra, Parigi, Vienna, Berlino, Barcellona, Madrid, Stoccolma, New York, Tokio, Hong Kong.
Difficile trovare in queste classifiche le città italiane e non c'è da stupirsene. Come può competere Roma che possiede solo 41,5 km di metropolitana con 2 linee e 52 stazioni comprese le ultime arrivate di Annibaliano, Libia e Conca d'Oro con Londra che vanta una rete della metropolitana di 460 km con 13 linee e 382 stazioni o con Parigi che ha una metropolitana di 200 km con 16 linee e 374 stazioni? Poco migliore è la situazione di Milano, la più europea delle città italiane, che ha solo 88 km di metropolitana con 3 linee e 94 stazioni.
In sostanza le città italiane tanto celebrate per le loro bellezze architettoniche soffrono di un grave deficit del trasporto pubblico a cui bisognerebbe mettere mano per restituire ai cittadini (e non solo ai turisti) un patrimonio urbano e ambientale che non viene goduto come si dovrebbe e si potrebbe. Ma ripensare la mobilità e il trasporto pubblico non è uno scherzo e richiede uno sforzo collettivo per evitare di ripetere gli errori fatti nel passato e ritrovarsi in qualche anno a rimpiangere occasioni mancate come è stata quella della metropolitana, ancora oggi evocata tra le cause della cattiva modernizzazione del Belpaese.
Ci sarebbe da augurarsi una sterzata culturale per arrivare a considerare tram, autobus e auto elettriche tra i diritti base di una cittadinanza contemporanea proprio come avviene in quei contesti urbani dove il trasporto pubblico è già un bene comune e dove circolazione e accessibilità sono le parole chiave di una società democratica e multietnica che guarda positivamente al futuro. Non sempre però si pensa abbastanza a quanto possa incidere il trasporto pubblico nella vita quotidiana della gente anche la relazione tra i due è così forte tale da poter addirittura influenzare le scelte politiche.

Sentimenti di discriminazione
In occasione delle ultime elezioni presidenziali, l'istituto dei sondaggi Ipsos France ha tracciato un quadro delle intenzioni di voto sinistra/destra ripartito tra coloro che abitano nelle regioni metropolitane e coloro che abitano nelle periferie periurbane o nei piccoli centri rurali: lunghe distanze e cattivi collegamenti con i grandi centri urbani dove è maggiore l'offerta di servizi e di intrattenimento, innescano sentimenti di discriminazione che portano a riparare in posizioni conservatrici. In realtà questo dato socio-antropologico solo apparentemente è una novità dei tempi attuali; basterebbe fare qualche passo indietro e andare a rileggere le storie delle amministrazioni locali per trovare conferma del legame tra efficienza del trasporto pubblico e politica anche se evidentemente, le sfumature sono diverse.
Arriva a proposito il libro di Grazia Pagnotta Dentro Roma. Storia del trasporto pubblico nella capitale 1900-1945 (Donzelli, pp. 404, euro 27), un «viaggio» molto ben documentato nelle vicende della modernizzazione di Roma capitale rilette dal punto di vista dei tram, dei filobus e degli autobus che mette a nudo la centralità della rete del trasporto pubblico nella politica della città e degli equilibri urbani. Sullo sfondo di una città che improvvisamente cresce a dismisura, l'autrice ripercorre le tappe della costruzione del servizio dei trasporti pubblici restituendo un quadro di conflitti e di ritardi che hanno condizionato lo sviluppo della città e i rapporti con i suoi cittadini: per anni, ogni giorno, file di pendolari costretti a spostarsi dalle periferie al centro città in scomode vetture prive di ogni comfort hanno scritto la storia dei rapporti tra amministrazione pubblica e cittadini.

Navigazione a vista
Nodo irrisolto della vicenda romana è stato il processo di municipalizzazione della rete che ha richiesto circa trent'anni di lavoro politico - anni strategici per la modernizzazione della città - per riprendere il controllo, almeno parziale, delle linee date in concessione alla Società Romana Tramway e Omnibus (Srto) e sostituire alla visione utilitaristica della destra liberale giolittiana un'idea di città più democratica. Lasciata nelle mani della Srto, un consorzio aziendale creato dal Banco di Roma che a sua volta era il centro della finanza vaticana, la rete dei trasporti municipali romani era stata realizzata unicamente secondo criteri di convenienza economica e non come sarebbe dovuto essere, sulla base di un progetto e di una prefigurazione razionale dello sviluppo della città.
Anche se non sono mancate le proposte e gli studi urbanistici - il piano regolatore del Sanjust del 1909, la variante del 1924 che introduce le linee sotterranee dei tram e della metropolitana, il progetto della «Grande Roma» di Piacentini (1925), gli studi del 1929 del gruppo degli Urbanisti romani e del gruppo La Burbera guidati da Giovannoni - a Roma sembra essere mancata la volontà di creare una sinergia tra il sistema della mobilità e la crescita urbana, lasciando così che tutto si facesse mano mano, con la conseguenza che progetti che avrebbero potuto imprimere uno sviluppo realmente moderno della città, naufragassero nel nulla.
Sotto questo profilo, la vicenda della metropolitana è emblematica. La ricostruzione storica di Grazia Pagnotta non riesce infatti a fornire una spiegazione logica al perché la metropolitana, ridotta alla sola linea B, sia stata inaugurata soltanto dopo la guerra nel 1955, nonostante la riforma del 1930, la prima significativa che Roma capitale abbia conosciuto, fosse fondata sulla realizzazione di una rete sotterranea di ben quattro linee per colmare i disagi del «dimagrimento» delle linee in superficie, nonostante il piano regolatore del 1931 ne avesse recepito il disegno, nonostante Mussolini ne avesse approvato la realizzazione nel 1937 e le gallerie per collegare la stazione Termini al nuovo quartiere dell'E42 fossero già state scavate negli anni quaranta.
Le ragioni che hanno ostacolato la realizzazione della rete sotterranea sono imperscrutabili e nemmeno un sottosuolo pieno di memorie archeologiche sbandierate come «il problema» del caso romano, è riuscito a giustificare l'assenza della metropolitana: le conoscenze tecniche raggiunte agli inizi del secolo scorso - sono anni in cui l'ingegneria fa passi da gigante in tempi rapidissimi, realizzando opere straordinarie che ancora oggi lasciano stupefatti, basti pensare alle torri e ai ponti di Gustave Eiffel! - avrebbero permesso di scendere nel sottosuolo quanto serviva per non intaccare la quota archeologica. Così, mentre le più importanti città europee erano lanciate nell'impresa della metropolitana riconoscendo nella rete dei treni urbani la soluzione più idonea ad assorbire le difficoltà dei collegamenti creati dalla crescita urbana e dall'aumento demografico della popolazione, a Roma ci si è fermati alle buone intenzioni.

Strategie più articolate
Ora però, fatte salve le occasioni mancate potrebbe essere il momento di riprendere in esame la questione con spirito rinnovato: molte cose sono cambiate e per realizzare una città accessibile e di qualità potrebbe non essere più sufficiente colmare il gap della metropolitana. Le dimensioni urbane sono ben più vaste di quelle del passato, il numero degli abitanti è notevolmente aumentato, la loro distribuzione sul territorio è a macchia di leopardo e tutto questo complica parecchio il discorso. Se poi si aggiunge che ormai l'automobile non può più continuare ad essere il principale mezzo di trasporto urbano, è evidente che bisogna mettere in campo strategie più articolate capaci, da un lato di mettere insieme l'automobile con la bicicletta, gli autobus con i battelli, i tram con le navette, dall'altro di considerare i trasporti qualcosa che viaggia sotto ma anche sopra la terra.
È quanto emerge dal sostanzioso volume di Alessandra De Cesaris Il progetto del Suolo-Sottosuolo (Gangemi, pp. 304, euro 30) che attraverso il confronto tra i trasporti delle grandi città del mondo, sonda le tendenze e i modelli della mobilità più adeguati alle attuali condizioni dell'abitare contemporaneo senza dimenticare l'urgenza ambientale che richiede un risparmio e una salvaguardia del suolo. Insomma, sembra sia arrivato il momento di guardare al trasporto pubblico come a una delle chiavi per coniugare sostenibilità e responsabilità ambientale, per ristabilire relazioni tra parti distanti e separate della città, per costruire uno spirito di collettività adeguato alle nuove forme del lavoro, del consumo, dell'abitare che si profilano all'orizzonte, senza dimenticare che lo stesso modo di spostarsi è andato incontro ad una nuova rivoluzione.

Distanze calcolate in minuti
Se come ha felicemente sintetizzato il titolo di una recente mostra parigina dedicata ai trasporti sono i nostri movimenti a disegnare la città e i territori e a modificare il paesaggio urbano - Circuler. Comment nos mouvements façonnent les villes -, i cellulari, gli smartphone, i tablet permettono di fare diverse cose mentre si è in movimento, tranne il guidare. Ecco che le distanze non si calcolano più in chilometri ma in minuti di tempo e che l'essere trasportati è diventato un'aspirazione, quasi uno status symbol. Non tanto in Italia, quanto all'estero, nelle aristocratiche città europee, per essere à la page oggi si circola con i mezzi pubblici, tutt'al più con la bicicletta o con l'auto elettrica.

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