VISIONI

Due spettacoli si alternano sul tema del destino

LIRICA · «Otello» e «Tristan und Isolde» alla Fenice, dirige Myung-Whun Chung
PENNA ANDREA,VENEZIA

Con uno sforzo produttivo raro per un teatro d'opera italiano, ma poco consueto anche per i grandi teatri europei, La Fenice di Venezia ha giocato d'anticipo inaugurando a fine ottobre la stagione 2012-13, che si incentra un po' dovunque sulla formidabile accoppiata del bicentenario Verdiano e Wagneriano. Nessun teatro aveva pensato finora di alternare in due settimane dodici recite fra Otello di Verdi e Tristan und Isolde di Wagner, con due nuove produzioni. Posto l'ardimento del progetto, veniamo al merito. Vincente la scelta, anch'essa inusuale, di un solo direttore sul podio, il coreano Myung-Whun Chung, che ha con Otello una lunga storia interpretativa, mentre a Venezia debuttava Tristan , affrontato prima solo in concerto. Contributo fondamentale alla riuscita dell'impresa, con una lettura trascinante per entrambi i titoli: di marcato spicco teatrale la lettura di Otello, partecipe, sanguigna, misurata nei tempi, attenta a ogni frase dei cantanti e persino agli ingranaggi del progetto registico; visione nobile, di elevazione puramente musicale, quasi ascetica, per Tristan, con l'esecuzione dei complessi della Fenice che tocca vette davvero ragguardevoli. Gli spettacoli, pensati per essere alternati con facilità sulla scena, si fondavano su visioni differenti, benché entrambi segnati, a tratti, da qualche eccesso naturalistico di recitazione. Giocato sul tema del destino, esibito anche come forte segno decorativo, l'Otello di Francesco Micheli (scene di Edoardo Sanchi, costumi di Silvia Aymonino) era immerso in uno zodiaco acceso nel fondale, sull'ambiente dorato del palazzo, sul grande velario. Un dramma di un'umanità fragile e esibita, con scene di massa ben gestite, riscattato dal suo tratto più cupo nella conclusione, con il toccante stagliarsi di Otello e Desdemona, anime libere in cammino verso la Pleiade ardente, dopo la morte di entrambi. Essenziale nei due volumi-gusci, che compongono chiglia e castello nei tre atti del Tristan, lo spettacolo di Paul Curran (scene e costumi di Robert Innes-Hopkins) si fonda su dati semplici, effetti di luce e pochi elementi scenici ben scelti. In entrambi gli spettacoli i due protagonisti si staccano dal resto della compagnia, con Gregory Kunde lontano dalla imperante tradizione «muscolare» del Moro, riportato a una concezione più lirica, attento al fraseggio e alle mezzevoci prescritte da Verdi più che all' eclat dei momenti affocati, che pure non mancano. Un po' acerba Leah Crocetto, Desdemona dalla dovizia vocale evidente, mentre Lucio Gallo ottiene con recitazione e fraseggio quel che il puro fatto vocale a tratti preclude. Bene gli altri specie Francesco Marsiglia (Cassio) e Elisabetta Martorana (Emilia). Ian Storey è forse lento a metter ben a fuoco Tristan, ma disegna un terzo atto magnifico, toccante, ben cantato e mai sopra le righe. Più fragile la bella Isolde di Brigitte Pinter, a tratti sovrastata dalla Brangane, ottima, di Tujia Knihtilä . Attila Jun è un re realmente nobile, mentre Richard Paul Fink tratteggia un Kurvenal un po' guascone. Di rilievo il pastore di Mirko Guadagnini. Successo convintissimo per le due opere.

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