L'ULTIMA

Welfare SENZA CONFINI

storie
PUGLIESE ENRICO,

L'immigrazione rappresenta uno dei grandi banchi di prova dei sistemi di welfare nazionali. Basti solo pensare al fatto che l'essenza del welfare state consiste proprio nel godimento di quelli che Marshall (Thomas) - e tutti gli altri dopo di lui - ha chiamato diritti sociali, giustappunto, di cittadinanza: diritti di cui godono i cittadini di un determinato paese. E la cittadinanza - si sa - include ma esclude anche: ad esempio quando si parla di diritti diversi tra cittadini e stranieri. E non a caso nel parlare di welfare e immigrati si parla appunto di «accesso ai diritti di cittadinanza da parte di non cittadini»: insomma una sorta di ossimoro. E con questo problema i paesi sviluppati hanno dovuto misurarsi nei decenni scorsi. L'internazionalizzazione del mercato del lavoro - o ancora, più semplicemente, l'arrivo di lavoratori stranieri in un qualunque paese - ha posto una questione di fondo: devono questi essere equiparati nei loro diritti alla classe operaia nazionale (come per altro essi richiedono) o no?
C'è comunque ormai a livello istituzionale un definitivo orientamento ad estendere agli immigrati, per lo meno sul piano teorico, l'accesso ai benefici del welfare. E ciò è anche comprensibile se si considerano i processi di fondo che sono stati alla base del sistema di welfare e dell'introduzione dei diritti sociali di cittadinanza. Si tratta dello scambio tra lealtà allo stato e garanzie di condizioni di vita migliori, a cominciare dalla salute, dall'indennità di disoccupazione e dalla pensione. Questo accordo - questo compromesso che è l'essenza del welfare state - non poteva essere limitato solo a una parte della classe operaia, cioè a quella nazionale. E ciò ne ha determinato progressivamente, almeno in Europa, l'estensione ai lavoratori immigrati. Studiosi quali Harris - e più recentemente Geddes - hanno messo in evidenza i meccanismi e i processi di inglobamento degli immigrati nei sistemi di welfare nazionali.
Tra due welfare
Il volume Welfare transnazionale: la frontiera esterna delle politiche sociali, edito da Ediesse - tratta la tematica da un ottica particolare: quella dell'immigrato tra due diversi realtà socio-economiche ma anche tra diversi sistemi di welfare: quello dei paesi di arrivo e quello dei paesi di partenza (e di eventuale ritorno); il che ne giustifica il titolo dato dalle autrici Flavia Piperno e Mara Tognetti Bordogna. Il libro affronta sia a livello teorico che con riferimenti empirci e suggerimenti di policy le problematiche relative alla collocazione degli immigrati nel sistema di welfare italiano oggi, partendo dalla considerazione che una parte di essi probabilmente è destinata al ritorno e che finirà per trovarsi nella complessa condizione di beneficiario parziale dei benefici di due sistemi di welfare diversi.
E non si tratta di un problema da poco. È infatti noto e ovvio che i sistemi di welfare dei paesi di provenienza degli immigrati in Italia sono molto più esili del sistema di welfare italiano, per quanto avaro questo possa essere nei confronti degli immigrati. Qui aprirei una parentesi, con riferimento a una peculiarità italiana che non è affrontata nel libro e che a me sembra comunque di rilievo: la collocazione di un'altra componente delle migrazioni che riguardano l'Italia, cioè gli emigranti italiani all'estero. Perché questi vivono una contraddizione di tipo diverso da quella degli immigrati in Italia e per qualche verso paradossale. Essi cioè, provenienti da un paese con un sistema di welfare ormai piuttosto avanzato, possano trovarsi ora sia in paesi con sistemi di welfare forti - pensiamo al caso tedesco - sia in contesti dove il sistema di welfare non si è parimenti sviluppato, quale è il caso dei paesi dell'America latina. Anzi qui si forse registrato l'unico impegno transnazionale a livello di welfare giacché nei decenni passati un orientamento relativamente generoso della spesa sociale italiana aveva permesso il trasferimento di un flusso di risorse volte spesso a ridurre condizioni di vera e propria indigenza di cittadini italiani residenti all'estero. Ma anche questo è andato riducendosi negli ultimi anni.
Gli operatori sociali
Tornando al libro e alla problematica affrontata, c'è un'altra interessante peculiarità tipicamente italiana alla quale invece il volume dedica molta attenzione, cioè l'esistenza di una vasta componente di immigrati che non sono beneficiari bensì operatori, lavoratori, all'interno del sistema di welfare. Si tratta, tanto per fare l'esempio più noto e citato, del caso delle badanti. Ad esso sono dedicati nel volume diversi saggi che mostrano anche la contraddittorietà del ruolo di queste figure che nel fornire dietro retribuzione servizi per il funzionamento del welfare mix italiano, privano dell'assistenza i loro familiari, soprattutto i minori, nelle aree di provenienza. In questo caso si potrebbe parlare proprio di transnazionalità dell'assenza di welfare: in primo luogo per il fatto che i servizi di cura vengono comprati sul mercato (e qui di nuovo si tratta di carenze del sistema di welfare); in secondo luogo perché, per effetto del cosiddetto care drain (drenaggio del lavoro di cura), chi lavora all'estero è costretto ad abbandonare la propria famiglia.
Entrando nel merito dei singoli brani che costituiscono il volume, mi soffermerò solo su quelli delle due curatrici, per poi passare a quello particolarmente chiarificatore di Sebastiano Ceschi che rappresenta una sorta di appendice. Flavia Piperno fa un vasto riferimento alla letteratura internazionale sul tema sottolineando il contributo degli immigrati - e soprattutto delle immigrate al funzionamento del sistema di welfare dei paesi ricchi - citando tra gli la Ehrenreich e la Hocshield che vedono una vera e propria sottrazione di risorse. Sempre nel campo della letteratura internazionale Flavia Piperno fa riferimento agli autori che si sforzano di mostrare alla come le migrazioni possano produrre vantaggio sia per i paesi di partenza che per i paesi di arrivo. Ma qui la autrice sposta il campo di osservazione dal tema specifico del welfare transnazionale a quello dei rapporti tra i Paesi del Nord e del Sud e delle possibili ricadute in termini di sviluppo per i secondo anche grazie alle rimesse degli emigrati.
La verità dei fatti, anche per quel che mostrano le autrici, è che attualmente nei paesi di arrivo il welfare consiste solo nelle reti di solidarietà sociale e comunitaria, attivabili grazie al flusso di risorse legate alla immigrazione: le stesse reti che - secondo le autrici - combinate con il flusso di risorse e un opportuno intervento istituzionale dovrebbe favorire lo sviluppo di un welfare transnazionale. La tematica è ripresa dal contributo di Mara Tognetti che analizza soprattutto le caratteristiche e il ruolo della famiglia transnazionale approfondendo anche il discorso sulla natura e le - auspicabili aggiungerei io - funzioni e caratteristiche del welfare transnazionale. Esso, secondo l'autrice, consente alle persone di «esplicare i propri ruoli e di soddisfare i propri bisogni e desideri senza minare le scelte di vita come la migrazione in quanto contribuisce a mantenere legami appartenenze, relazioni significative tra coloro che, pur vivendo in contesti diversi, continuano a sentirsi appartenenti a un paese a una famiglia geograficamente distante ma simbolicamente vicina». Ma questo - nota la stessa autrice - è possibile nella misura in cui si possa godere dei benefici del sistema più avanzato (quello dei paesi di immigrazione) in ambedue i contesti compreso quello di partenza (cioè alla fine di ritorno). E mi pare che questa possibilità sia molto lontana dalla realtà.
Le iniziative autonome dei migranti
Infine, il lavoro di Ceschi mostra da una parte il funzionamento efficace di forme di welfare comunitario che effettivamente operano a livello transnazionale legando cioè l'area di provenienza con l'area di arrivo; dall'altra parte però mostra chiaramente quanto le istituzioni italiane siano lontane dal contribuire a una integrazione e una valorizzazione di queste iniziative autonome degli immigrati. Il caso specifico studiato da Ceschi è quello di una cooperativa di lavoratori senegalesi che, secondo antiche tradizioni di solidarietà comunitaria, provvede a garantire ai suoi soci il soddisfacimento di esigenze che non vengono garantite dalle politiche di welfare nazionale nei paesi di arrivo. Lo studio di caso presentato è sicuramente di successo, ma ho dei dubbi che esso si presenti a molte prospettive di riproducibilità fuori dall'ambiente senegalese. Gli elementi culturali specifici di quella comunità, che sono stati determinanti per il successo dell'iniziativa, non si trovano di frequente nelle altre comunità di immigrati. Ma il caso mostra paradossalmente come la cooperativa studiata attui anche tutta una serie di interventi di politica sociale che in realtà dovrebbero essere comunque garantiti dalle istituzioni del paese di immigrazione.
Comunque gli elementi di solidarietà comunitaria e le reti sociali di questo genere possono avere una funzione integrativa di rilievo - per gli immigrati come per i locali - potenziando la qualità delle politiche sociali. Al contrario soprattutto negli anni recenti sono stati messi in atto in Italia dei provvedimenti volti a ridurre più che a potenziare le possibilità di realizzazione di un welfare transnazionale. Lo stesso Ceschi fa l'esempio delle difficoltà introdotte già dieci anni addietro con la legge Bossi-Fini e scrive che in generale «i migranti incontrano difficoltà specifiche rispetto ai tradizionali meccanismi di protezione sociale fondati sul principio lavorista, come dimostra l'impossibilità di riscatto dei contributi a fini pensionistici introdotte in Italia dalla legge Bossi-Fini, tuttora in vigore». Ed aggiunge che gli immigrati rischiano di «restare esclusi anche dalle nuove forme di welfare fondato sui diritti cittadinanza frenati dal difficile percorso per diventare cittadini e dagli ostacoli alla stabilizzazione posti dalle attuali normative sulla di immigrazione»: quelle particolarmente dure e discriminatorie introdotte dal terzo governo Berlusconi.
Insomma, negli ultimi anni si è vista solo la riduzione del welfare nazionale: di iniziative istituzionali volte a favorire il welfare transnazionale, così come auspicato dal volume, si è visto ben poco. Ma la discussione è aperta e il volume fornisce utile documentazione e spunti per il dibattito.

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