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Come può un ricercatore votare Pd?

UNA RISPOSTA AD ASOR ROSA
DRAGO TIZIANA,

Vorrei ripartire da un fondo di Alberto Asor Rosa (il manifesto 15/10/2012) e spiegare, dal mio osservatorio di lavoratrice della conoscenza, le ragioni per cui proprio non posso iscrivermi tra i sostenitori del patto Pd-Sel, ovvero di Bersani. Perché questo sostanzialmente è.
Per farlo mi tocca ripercorrere l'esperienza di lotta contro la riforma Gelmini: un unico grande diffuso movimento ramificato negli atenei di tutta Italia; un'eccezionale esperienza di condivisione che ha ricomposto le istanze di democrazia e partecipazione di studenti e ricercatori.
A chi considera questo punto di vista eccessivamente parziale ricordo che la posta in gioco nella riforma Gelmini non è stata certo il destino di qualche intellettuale: come ebbe a dire Marco Bascetta (il manifesto 19/12/2010), intorno all'Università il governo Berlusconi ha giocato «una partita, simbolica e politica, di enorme portata e di lungo periodo», configurando «un modello sociale complessivo, che espelle dal suo orizzonte l'idea stessa dell'investimento come investimento sociale, che nega alla radice qualunque possibilità di concepire la crescita culturale di un paese come processo collettivo».
L'enormità della questione non ha turbato, tuttavia, il sonnolento Pd: chiunque abbia vissuto quei giorni di impegno forsennato (la resistenza coriacea sui tetti, la febbrile produzione di documenti, le battaglie oscure all'interno degli atenei e le fatiche estenuanti all'esterno delle università) può testimoniare la solitudine di studenti e ricercatori nel condurre la lotta, sebbene una delle maggiori vittorie del movimento sia stata l'aggancio di un'opinione pubblica plasmata da campagne di stampa che avevano costruito intorno all'università il mito della corruzione clientelare e dei privilegi.
L'approvazione della riforma è stata decisa dalla convergenza di tutte quelle forze che hanno fatto gravare sull'Università e sulla ricerca, che non fosse al servizio spicciolo dell'impresa, un diffuso sospetto di inutilità se non proprio di nocività. In questo processo il Pd ha avuto una responsabilità storicamente grave: trincerato dietro l'ipocrisia di una "solidarietà" di facciata (la passeggiata di Bersani sui tetti della Sapienza e il doveroso voto contrario in Parlamento), è stato del tutto incapace di abitare un orizzonte culturale diverso da quello che avrebbe dovuto combattere. Per conformismo e per ignavia. Non è certo un segreto che l'impianto gelminiano sia stato suggerito da intellettuali e riformatori scolastici politicamente vicini al PD.
Il fatto è che la contiguità dell'establishment del PD (l'area confindustriale-lettiana) con il disegno strategico "modernizzatore" della riforma ha radici profonde: ha alle spalle anni in cui i riformatori di sinistra hanno gettato le basi per la creazione del rapporto tra Università e impresa, formazione e interessi privati. L'«apertura al territorio», l'«avvicinamento alle aziende», la «partecipazione dei privati» costituiscono il mantra da Berlinguer alla Gelmini. In nome della miracolosa capacità di regolamentazione del mercato e della concorrenza come ecologia della società: un von Hayek nudo e crudo.
Niente di strano quindi che la promessa fatta sui tetti da Bersani di adoperarsi per l'abolizione della legge 240 sia stata prontamente disattesa dall'appoggio concesso al successore della Gelmini nel governo Monti, il quale non ha esitato a dire che «la Gelmini non va abolita, ma oliata».
A intervalli regolari, ma purtroppo frequenti, il Pd si è anche illustrato per la proposta con cui il senatore Ichino con buon seguito di replicanti ha indicato la strada del meccanismo del prestito d'onore e della liberalizzazione delle rette universitarie (nonché dell'abolizione del valore legale del titolo di studio).
E a chi si deve l'invenzione di quel mostro "eritocratico" di emanazione governativa (l'Anvur), che ora imperversa con le conseguenze disastrose che conosciamo? Al Pd ovviamente e al ministro Mussi.
Una trattazione a sé meriterebbe il terreno delicatissimo della scuola: dopo aver regalato ai privati la legge sulla parità scolastica, frantumato il sistema con l'autonomia e regionalizzato l'organizzazione dello Stato anche in una delle sue più alte funzioni - l'istruzione - il Pd completa ora l'opera con l'impegno nella riforma di autogoverno della scuola (ex proposta Aprea).
E allora, caro Asor Rosa, va bene il tentativo di aggredire la frammentazione a sinistra, ma davvero si può chiudere gli occhi dinanzi a tutto questo, continuando a rinviare, in nome delle geometrie di partito e del contenimento del danno, ogni forma di avanzamento teorico-politico essenziale e la costruzione di una nuova egemonia, sostitutiva di quella neoliberista?
* ricercatrice Università degli Studi di Bari

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