Una ricca (ancorché orientata) panoramica sulle diverse teorie della crescita e sulle loro verifiche empiriche è quella messa a punto da Enzo Grilli poco prima di scomparire prematuramente nel 2006 («Crescita e sviluppo delle Nazioni. Teorie, strategie e risultati», Utet, pp. 497, euro 29). Peter H. Lindert ha invece esposto la sua prospettiva eterodossa sui rapporti tra spesa sociale e crescita in un bel libro che nel 2005 ha vinto l'Allan Sharlin Prize per la storia delle scienze sociali (trad. it. «Spesa sociale e crescita», a cura di R. Artoni e A. Sommacal, Università Bocconi Editore, pp. 463, euro 30).
Definito dal Washington Post «semplicemente il libro sulle crisi finanziarie», l'ultima fatica di Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff («Questa volta è diverso. Otto secoli di follia finanziaria», Il Saggiatore, pp. 426, euro 22), è piuttosto l'ennesima riprova delle difficoltà - ma verrebbe da dire: dell'incapacità - dell'economia ortodossa di venire a capo dei dilemmi che il funzionamento del modo di produzione capitalistico continuamente le propone. Una difficoltà che affligge la pur meritevole disamina di Massimo Amato e Luca Fantacci, «Fine della finanza» (Donzelli, pp. 332, euro 18,50), ai quali sembra sfuggire che solo un cambiamento nei rapporti di produzione dominanti può rendere la moneta altro dal capitale.