CULTURA

La storia umana in una mappa

VIAGGI NEL PASSATO
TODESCHINI GIACOMO,

Un recensore americano di Cartografie del tempo. Una storia della linea del tempo di Daniel Rosenberg e Anthony Grafton, pubblicato due anni fa a Princeton (Cartographies of Time: A History of the Timeline, Princeton Architectural Press, 2010) e ora uscito per Einaudi (pp. 322, euro 70), lo ha definito «a visual feast», una festa visiva. E indubbiamente l'aspetto grafico di questo racconto di come il tempo, la progressione temporale, sono stati raffigurati e schematizzati nei secoli, lascia a bocca aperta per la meraviglia, ancor prima di essere letto, per il suo aspetto straordinario, spettacolare si potrebbe dire.
Nel parco delle meraviglie
Di grande formato, patinato, illustrato fastosamente con ogni sorta di riproduzioni di «carte del tempo», siano esse diagrammi, sintesi simboliche o più immaginose rappresentazioni iconiche del viaggio nel tempo, il volume abbaglia lo stremato consumatore occidentale di oggetti più o meno lussuosi. Il libro si presenta, infatti, prima di tutto, all'occhio e alla mano del suo fruitore, come un elegantissimo accessorio culturale. Il rutilare di più di trecento illustrazioni, colorate, sorprendenti, snoda da una pagina all'altra una vicenda, quella della «linea del tempo» come immagine grafica, in termini innegabilmente attraenti, indubbiamente esclusivi. La storia, la rappresentazione visiva e sintetica degli assi temporali, da quelli protocristiani a quelli settecenteschi e oltre, cattura subito il lettore trascinandolo nell'universo raffinato del tempo immaginato e ingegnosamente organizzato. L'ipnosi è immediata e l'effetto assicurato: anche chi di storia non si occupa e magari considera lo studio della storia una perdita di tempo, potrà godere, se il portafoglio glielo permette, del fantastico susseguirsi di figure del tempo raccolte in questo grande album. Entriamoci dunque, nel parco delle meraviglie allestito da Grafton e Rosenberg e proviamo a muoverci fra queste variopinte cronologie occidentali del mondo.
Un susseguirsi di uragani
In quali modi è stata rappresentata la storia? «Come disegnereste il tempo?». Ovvero: come sono state raffigurate le piste che dal passato conducevano al presente, come è stata pensata la mappa del tempo? «In Cartografie del tempo offriamo un breve resoconto di come sono apparse le moderne formule di rappresentazione cronologica e di come si sono profondamente inserite nell'immaginazione moderna». La cronografia della storia del mondo dei primi cronisti cristiani Eusebio e Girolamo è, secondo Grafton e Rosenberg, il primo grado di uno sviluppo che condurrà tra l'altro nel 1930, dopo mille plurisecolari passaggi, anche alla tabella temporale di un classico della fantascienza, Last and first man di Olaf Stapledon (Infinito, nella traduzione italiana).
D'altra parte, gli autori chiariscono che, seppure le culture orientali abbiano prodotto moltissimo nella prospettiva di questa visualizzazione del flusso temporale, teatralizzando variabilmente il tunnel che dal più inconoscibile passato sbuca nel presente tangibile, il libro riguarda soprattutto le mappe occidentali del tempo. Si parte dunque con le serie annalistiche medievali, rimemorando purtuttavia le tabelle, i dipinti e i graffiti per mezzo dei quali sumeri, babilonesi, egiziani avevano fissato e tramandato una loro immagine della freccia del tempo.
Questi primi schemi medievali snodano il susseguirsi di uragani, morti di re e regine, cattivi raccolti e stelle cadenti, senza aggiungere alla secca memoria alcuna considerazione interpretativa. Accanto a questi elenchi che, comunque, tratteggiano il tempo storico come sequenza di «fatti importanti» (a fronte di miriadi di altri «fatti non importanti») cominciano a manifestarsi, nell'Occidente cristiano del quinto e del sesto secolo, tipi di cronaca o di storie del mondo che instaurano un modello di corso storico che, al modo di più antichi racconti storici greci o romani (ab urbe condita), lo organizzano nei termini di un viaggio nel tempo, iniziato con la creazione del mondo e ancora in corso quando l'artefice della cronaca scrive.
Ed ecco che, sul finire del medioevo, queste avventure nello spazio e nel tempo diventano carte spazio-temporali, figure nei libri, mappe che si possono appendere al muro. I criteri che le regolano sono variabili. Da Pietro di Poitiers a Werner Rolewinck alla Cronaca di Norimberga cerchi concentrici o anelli coincatenati, schemi su colonne giustapposte o linee di coerente sviluppo, ostentano la volontà di fare di quanto è accaduto una sequenza chiaramente leggibile e identica a una «immagine vivida», di creare «una Stele di Rosetta della Storia» in grado di «trasporre in un'unica, coerente versione del passato elenchi di nomi e di date provenienti da molte fonti e da molte lingue differenti». Si tratti di storie universali, della storia inglese o di serie di vescovi e sovrani, il modello ripreso di continuo è quello di una storia sacra riprodotta in figure che la congelano in schemi cronologici e la rendono pedagogicamente funzionale: così la si può insegnare e imparare. Quando nel 1585 Lorenz Faust a partire dalla profezia di Daniele fa della storia del mondo un'immagine anatomica e delle vicende della storia altrettante parti del corpo di un guerriero armato e corazzato, appare ormai avanzato il processo di raffigurazione visiva ed emozionale di una successione di avvenimenti storici, nell'intento, notano allegramente Grafton e Rosenberg, di fornire «agli studenti uno splendido sussidio mnemonico».
Nascita del Cristo e nascita di Carlomagno, caduta di Troia e crocifissione di Gesù di Nazareth, congiunzioni astrologiche e posizioni planetarie, sono poi altrettanti punti di riferimento (fra i molti) in grado di consentire fra Cinque e Seicento l'allestimento di sempre nuove mappe del tempo, adatte nello stesso momento a ricordare e spiegare il senso profondo degli avvenimenti lontani o vicini. Ma come mantenere insieme il senso della storia occidentale e di quella cinese? Oppure il senso della storia sacra cristiana e quello dell'astrologia o delle altre storie del mondo, quelle narrate dalla botanica, dalla geologia, dall'osservazione degli animali e delle piante?
Il mondo moderno, ossia il Sei e il Settecento, fa i conti con l'inadeguatezza delle più antiche cronologie sacralizzate, man mano che il mondo, all'indomani della scoperta delle Indie si fa più vasto e le stelle e gli oceani diminuiscono la statura degli uomini creati a immagine e somiglianza di Dio. L'ambizione dei cronografi aumenta e così i loro mezzi tipografici e artistici. «Con una certa esaltazione eurocentrica, essi sostenevano che la bussola, la polvere da sparo e la stampa erano state inventate nei tempi moderni e non in quelli antichi. ... Essi e i loro lettori, tra i quali Francis Bacon e altri profeti della modernità, speravano di dimostrare che la modernità europea, ultima epoca della storia, aveva una sua propria legittimità». Cronologie visibili dunque, ma anche cronistorie dell'umanità e tavole astronomiche, gabinetti delle meraviglie e raccolte antiquarie, cominciano ad essere utilizzati come altrettanti strumenti non necessariamente coerenti fra loro, ma in ogni caso adatti ad apportare informazioni in vista dell'utopica macchina capace di produrre un'unica grande e indiscutibile immagine del tempo vissuto e da vivere.
Dissezioni anatomiche
La verve pedagogica si accentua e sempre di più si vuol «connettere le date che gli studenti dovevano imparare a memoria a immagini talmente memorabili che sarebbe stato impossibile dimenticarle». «L'intero corso del tempo» ammoniva il tedesco Johann Buno nel 1672 doveva essere memorizzato e appreso come un organismo complesso da suddividersi ordinatamente in segmenti e frammenti tuttavia sempre ricomponibili. Questo procedimento di dissezione anatomica e un po' macabra del corso della storia condusse a immagini grandiose, che vengono riprodotte da Rosenberg e Grafton: i millenni sono impressionanti allegorie (un orso, un drago, un'ampolla) scomponibili e riordinabili per accadimenti epocali.
I «nuovi metodi» settecenteschi per studiare la storia, almeno tendenzialmente, demolirono l'immaginario storiografico barocco con il suo arsenale di allegorie, alberi, costellazioni e galassie di simboli interconnessi. L'epoca del «sorvegliare e punire» venne preferendo più faticose sinossi, tavole, colonne e dischi cronologici, fino all'inquietante diagramma (la Cronographie universelle) di Barbeu-Dubourg che, nel 1753 (ma la seconda edizione apparirà in piena restaurazione, nel 1838), per mostrare con precisione l'evoluzione storica in tutte le sue parti «secondo i principi della regolarità e dell'enciclopedismo» sarà un immenso papiro srotolabile (o un libro con fogli a fisarmonica) di sedici metri e mezzo di lunghezza.
Capolavori di economia visiva
Come Rosenberg e Grafton osservano, la visualizzazione di questa gigantesca mappa del tempo era molto laboriosa: per vedere ben dispiegato lo schema occorreva montarlo su di un congegno «che Barbeu-Dubourg chiamò 'macchina cronografica', cioè un astuccio su misura provvisto di cilindri di metallo e manovelle. La macchina del tempo di Barbeu-Dubourg era incernierata al centro, in modo da poterla appoggiare su qualunque superficie, per controllarne liberamente lo scorrimento, così che il lettore potesse muoversi con agio avanti e indietro tra grandi porzioni della storia universale». La seconda edizione, quella ottocentesca, di questo marchingegno cronografico verrà messa in vendita corredata di un «regolo cronologico» che consentisse all'utente di misurare con estrema precisione il tratto o i tratti della storia riprodotti su carta.
L'epoca era tuttavia propizia a questi trionfi della razionalità pedagogica sulla complessità del tempo e della storia, se accanto alla Cronographie si vide stampare sempre nel 1753 ad opera di Thomas Jefferys una britannica Chart of Universal History e poi, nel 1765 e nel 1769, le ben più rinomate, influenti e celebrate Chart of Biography e New Chart of History di Joseph Priestley. In questi «capolavori di economia visiva», l'ossessionante moltiplicazione di linee cronologiche, fasce, punti, rimandi, bande orizzontali, trasforma in ferrea organizzazione grafica lo schema del tempo, cancellando una volta per tutte l'immaginario simbolico e allegorico che aveva fatto delle cronologie più antiche qualcosa da apprendere anche emozionalmente.
Non è più necessario «leggere», basta osservare quello che ormai è, in realtà, un grafico, per apprendere la successione delle epoche storiche e dei «grandi uomini» che le hanno fatte. La cronologia sta per diventare quello che l'Ottocento positivista denominerà una «scienza» quantitativa, e in effetti, come notano gli autori è «impossibile sopravvalutare l'importanza di tale articolazione grafica». Da Priestley in avanti il diluvio di pseudo-esattezze matematiche applicate alla narrazione e alla ricostruzione storica si accresce: ci si avvicina a gran passi all'idea che fare gli storici è, se non soprattutto, almeno in gran parte essere cronografi ed avere bene in mente la linea di successione degli eventi così come sono veramente stati.
Sulla portata politica ed economica di questa concezione del fare storia, la cui apoteosi, nel passaggio dall'Otto al Novecento, ebbe e ha una carica di violenza imperiale e disciplinatrice, Rosenberg e Grafton, affascinati come sembrano dal precipitoso accumularsi dei grafici e delle statistiche, delle cronografie e degli stereogrammi ottocenteschi, moderni e post-moderni, di carta, di bronzo, bidimensionali e tridimensionali, tacciono garbatamente. Un fuggevole rinvio all'angoscia di Walter Benjamin per l'affermarsi fascista di una percezione e di un apprendimento del tempo «omogeneo e vuoto», qualche trepido accenno, sul finire del libro, al diffondersi nei media più vari di oggi («internet start-ups come Miomi, Simile, Mnemograph...») di questa rappresentazione lineare, meccanica, aproblematica del passato, non permettono al lettore, ormai abbacinato dalla ininterrotta sequenza di figure colorate che sono la sostanza fisica del volume, di dare una qualche importanza alle sommesse critiche degli autori al quantitativismo imperante, di comprendere quanto l'epopea delle cronologie visibili e illustrate sia una storia dell'educazione ad accettare e a subire come dato indiscutibilmente storico, quanto è abuso e brutale sopraffazione.
Il giogo del conformismo
Riascoltiamo Benjamin, nel duro 1940: «Articolare storicamente il passato non significa conoscerlo "proprio come è stato davvero". Vuole dire impossessarsi di un ricordo così come balena nell'attimo di pericolo. Per il materialismo storico l'importante è trattenere un'immagine del passato nel modo in cui s'impone imprevista nell'attimo del pericolo, che minaccia tanto l'esistenza stessa della tradizione quanto i suoi destinatari. Per entrambi il pericolo è uno solo: prestarsi ad essere strumento della classe dominante. In ogni epoca bisogna tentare di strappare nuovamente la trasmissione del passato al conformismo che è sul punto di soggiogarla. Il messia infatti viene non solo come il redentore, ma anche come colui che sconfigge l'Anticristo. Il dono di riattizzare nel passato la scintilla della speranza è presente solo in quello storico che è compenetrato dall'idea che neppure i morti saranno al sicuro dal nemico, se vince. E questo nemico non ha smesso di vincere».

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