REPORTAGE

O, come Ordem (ordine)

Alfabeto brasileiro
D'ORSI ANGELO,

L'aspirazione all'ordine, non sempre ben definito, sembra una costante della storia brasiliana. Non pochi dei leader che si sono succeduti dalla nascita dello Stato nazionale (1822), hanno fatto dell'ordine un obiettivo politico. Getulio Vargas, la più carismatica figura dei presidenti del Brasile, che ha occupato il potere a lungo, con interruzioni e una tragica uscita di scena (suicida nel 1954), è uno dei massimi esponenti di un ideale «partito dell'ordine». Un altro presidente, Juscelino Kubiscek, lanciò a metà degli anni Cinquanta la parola d'ordine Desenvolvimento e ordem (sviluppo e ordine). Fu l'inventore politico della capitale Brasilia - una incredibile cattedrale nel deserto - di cui creatore urbanistico, accanto a Paulo Costa, fu Oskar Niemeyer (giunto attivissimo a traguardare i 104 anni): nelle sue costruzioni promana un'idea di ordine, alto e nobile, ispirato al principio che la natura è invincibile e che il dialogo con essa va regolato, senza violenza, ma senza cedere alla sua forza, cercando semmai di incanalarla e insieme di ispirarsi ad essa.
Capita però nel dialogo con la natura che l'ordine sia inteso in modo discutibile, sopraffattorio: si pensi al disboscamento selvaggio dell'Amazzonia, e alla vicenda più volte qui accennata della devastante diga di Belo Monte.
Nella contraddittoria realtà di questo Paese-mondo, l'ordine sembra fare a pugni con la felice creatività che da ogni punto di vista colpisce lo straniero, all'apparenza refrattaria a qualsiasi forma di regolamentazione; ma, in verità, se si guarda con attenzione, non si fatica a comprendere che i brasiliani si ordinano o si lasciano ordinare con una certa facilità; e non è per spirito gregario, ma, direi, per consapevolezza dell'importanza delle esigenze della comunità.
Sicché non ci si può stupire che sullo stendardo giallo-oro della República Federal do Brasil compaiano due parole unite dalla congiunzione: «Ordem e Progresso». Per quanto sia ispirato a una nota frase del padre del positivismo, Auguste Comte («L'amore come principio e l'ordine come base; il progresso è lo scopo»), che testimonia la forte presenza, a tutti i livelli, di questa corrente di pensiero nella cultura brasiliana, in realtà il motto sembra cogliere una predisposizione e insieme un bisogno, come mille indicatori mostrano, se si cammina lungo i viali delle megalopoli come nelle viette delle cittadine. A volte sembra di trovarsi in Svizzera o in Germania o in Gran Bretagna: tutti si pongono in fila, silenziosi e pazienti, quasi sempre sorridenti, ad attendere il proprio turno, che si tratti di attendere un bus urbano o extraurbano (i mitici «onibus»), o di entrare a teatro. È impensabile sottrarsi alla coda, e nessuno protesta se i tempi si dilatano: qui il tempo ha ritmi lenti, e le persone usano le pause per rilassarsi, per chiacchierare, per leggere. Una situazione classica di stress per gli italiani, diventa per i brasileiros un'occasione per testimoniare la «simpatica familiarità» di questa gente, che Sergio Buarque de Holanda (nell'opera fondamentale Raizes do Brasil, 1969) ha collegato alla mancanza di un'etica del lavoro. Sarà poi proprio vero che il lavoro nobilita?

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