Dalla metà del secolo scorso la parola siccità è stata associata a un'area geografica specifica - l' Africa sub-sahariana - ed è stata spesso indicata come la causa principale della desertificazione dei territori saheliani, e quindi della fame e della miseria di quelle popolazioni. Solo nell'ultimo decennio abbiamo scoperto che la siccità può colpire le aree più diverse del pianeta e determinare danni ingenti all'agricoltura e al bestiame anche in zone che appartengono alle zone temperate.
Per esempio, negli ultimi tre anni, pesanti e prolungate ondate di siccità hanno colpito il nordovest della Cina, la parte centromeridionale della Russia, il centro e l'ovest degli Stati Uniti, ampie zone del Brasile, del Corno d'Africa. In alcuni casi, come in Russia e Usa, la siccità si è intrecciata con una esplosione di incendi di dimensioni straordinarie che hanno provocato danni ingenti all'agricoltura (soprattutto alle coltivazioni di cereali) e alle persone.
Ma la siccità diffusa e imprevedibile è solo una faccia dello squilibrio ambientale che stiamo vivendo. L'altra faccia della medaglia si presenta così: piogge intense, alluvioni, uragani, tifoni sempre più frequenti e devastanti. Eventi estremi che si sono sempre verificati, ma che oggi diventano sempre più frequenti e distruttivi, a causa della immissione crescente di CO2 nell'atmosfera, come ho tentato di dimostrare nel mio ultimo saggio dedicato per l'appunto agli eventi estremi prevalenti nell'ecosistema quanto nel mondo della finanza. Sappiamo che solo una rilevante riduzione dell'immissione dei gas serra nell'atmosfera potrebbe far trovare al nostro pianeta un nuovo equilibrio, ma sappiamo altresì che i tempi della natura non sono quelli umani e che ci vorrà molto tempo prima che Gaia esca da questa fase di oscillazioni giganti. Anche se l'umanità imboccasse la strada della riconversione ecologica (più che mai necessaria) ci vorrebbe molto tempo prima di avere una risposta positiva dagli ecosistemi, dato che abbiamo ormai superato diverse soglie critiche.
Che fare, dunque? Prendere coscienza che siamo entrati in una nuova fase della storia, in cui la frequenza di eventi estremi atmosferici ci obbliga a pensare diversamente al nostro futuro ed al nostro territorio, a partire dal nostro paese che presenta una situazione di estrema debolezza. La manutenzione ordinaria e straordinaria del territorio diventa una necessità per affrontare gli eventi estremi, il che significa che bisogna investire, nel caso italiano, nei terrazzamenti, nella canalizzazione delle acque nel recupero delle colline, montagne, territori abbandonati. A livello globale, gli eventi estremi - siccità, alluvioni, uragani, ecc. - comportano una riduzione delle produzioni agricole e una espulsione dalle campagne di milioni di contadini (basti pensare ai 16 milioni di profughi ambientali per una mega-alluvione nel Pakistan di due anni fa). La caduta, sia pure temporanea, del prodotto di cereali e riso - com'è successo negli ultimi anni - alimenta la speculazione finanziaria provocando aumenti abnormi e velocissimi dei prezzi di beni agricoli vitali, e relativi conflitti e guerre. S'impone dunque una politica di sicurezza alimentare, che non può essere delegata solo all'intervento della Fao o del Pam in situazioni di emergenza, ma deve diventare una strategia politica mesoregionale che consenta ad ampie aree del mondo di costruire la propria sicurezza alimentare anche venendo meno alle regole del cosiddetto libero mercato.
Più in generale, possiamo dire che gli eventi estremi ci chiedono un radicale cambiamento culturale, che non è né semplice , né scontato. Siamo così abituati a pensare che la scienza e la tecnologia possano prevedere e gestire gli eventi, che possiamo dominare gli ecosistemi, che basti avere denaro a sufficienza per avere la sicurezza che non riusciamo a capire il mutamento che attraversa il nostro pianeta e le nostre esistenze.