VISIONI

C'è un'isola sul Danubio dove si mixano i linguaggi

CONCERTI - Sziget, sonorità sul palco dell'A38 stage di Budapest
CORZANI VALERIO,BUDAPEST

«Peace & Love!...and Fun!» urla Bebel Gilberto. È un po' su di giri, ride, piange, bacia tutti sul palco, svisa e borbotta, cambia discorso continuamente nelle presentazioni, si contraddice, ma dall'inizio alla fine del suo set canta a meraviglia. La sua voce si appoggia su un trip hop dalle forti tinte carioca in cui le ritmiche vengono fertilmente «disturbate» dalle piccole incursioni noise del fido collaboratore giapponese Masa Shimizu che si disimpegna alla chitarra e al basso e dal vario armamentario fiatistico (sax tenore e baritono, flauto) di Jorge Continentino.
È il venerdì sera dello Sziget di Budapest, siamo sul palco dell'A38 stage, da sempre il proscenio in cui i programmatori del festival inseriscono le proposte più sfiziose e «avant» e la cantante statunitense di origini brasiliane sintetizza come in uno spot non solo lo spirito del suo set, ma anche quello di questo megafestival giunto a un celebratissimo ventennale. L'atmosfera dell'isola sul Danubio alla periferia di Budapest, l'isola lunga due chilometri e larga uno che è la casa in cui si celebra questa kermesse fin dal 1993, è sempre la stessa, eppure negli anni si è perfino affinata. Pace, amore e divertimento è uno slogan che vale davvero in un luogo nel quale tra le decine e decine di palchi e davanti a centinaia di musicisti e di band si aggira un popolo di giovani che non si iscrive con piglio rissoso a nessuna tribù.
È stato questo il capolavoro dei due fondatori dello Sziget e dei loro collaboratori: creare non solo un grande festival, ma anche un'atmosfera, un'attitudine, un modo di vivere l'evento che lascia spazio alla celebrazione delle esibizioni di grandi nomi (è toccato quest'anno a Placebo, The Stone Roses, Korn, Snoop Dogg), ma che propone soprattutto un pacchetto completo fatto di generi musicali tra i più diversi, performance di teatro di strada, compagnie di danza, migliaia di stand culinari, sensibilizzazione su temi scottanti come la lotta contro il razzismo, la causa omosessuale, il rispetto per l'identità di etnie minoritarie (nell'edizione 2012 oltre al solito focus sulle musiche Rom anche uno spazio dedicato alla cultura Tuareg).
Al solito il programma è mastodontico e raccontarlo tutto darebbe vita a un resoconto simile a una lista della spesa. Scegliamo allora di segnalare alcuni set particolarmente significativi tra quelli che ci è capitato di seguire. I due picchi qualitativi del Main Stage sono stati, per motivi diversi, Anti Flag e The XX. I primi hanno portato a Budapest il loro punk rock pieno di energia e credibilità militante, mentre i secondi hanno sfoderato un'esibizione nella quale la loro sofisticata ricetta sonora fatta di elettronica e indie pop non ha sofferto affatto nella trasposizione live. Il giovane trio londinese si è esaltato nella potente riproposizione dei groove già sfoderati su disco, alternando basi electro e ritmiche downtempo, staffilate rumoristiche e flussi d'atmosfera. Il tutto incastonato nei versi e nella voce di una ragazza dalla cadenza sospirata come Romy Madley Croft. I flussi d'atmosfera, le sonorizzazioni ambient hanno caratterizzato anche le proposte dell'inglese di origini italiane Anna Calvi e della danese di origini olandesi Agnes Obel.
L'appuntamento era naturalmente all'interno dell'A38 Stage e si aveva a che fare in qualche modo con due ipotesi di cantautorato molto diverse tra loro, ma inclini entrambe a un concetto di suono più rarefatto che muscolare. Elettrico il pannello della Calvi, completamente acustico (voce, piano e violoncello) quello della Obel. Il giorno precedente su quello stesso palco si erano incontrati ben altri umori e modi. The Roots, deviati dal Main Stage a causa di un ritardo aereo, hanno messo in moto un calderone torrido e magmatico dall'impatto devastante. Hip hop pieno di inflessioni roots (testimoniate visivamente anche da un suonatore di basso tuba), una crew che ha fatto da sempre del proprio linguaggio rap una specie di decalogo di tutti i possibili accorpamenti di inflessioni black: jazz, funk, soul, gospel, swing. A un calderone più disordinato e festoso, quello della patchanka, è da sempre dedicata gran parte della proposizione del World Music Stage. Ascoltati e apprezzati i messicani Los De Abajo, i francesi Hk & Les Saltimbancs e gli ungheresi Quimby; sono stati però gli spagnoli Che Sudaka e Roy Paci a infiammare lo spazio con una verve ritmica inarrestabile. Roy Paci non era l'unico italiano in cartellone. Mai come quest'anno i gruppi italiani hanno avuto la chance di presentare progetti e potenzialità live.
Un palco tutto per loro, il Mambo Stage (preparato da L'alternativa - la costola italiana dello Sziget - in collaborazione Puglia Sounds) ha messo in fila una quindicina di band con Bud Spencer Blues Explosion, I Ministri ed Erica Mou a tirare la volata ad altri gruppi meno consacrati come Management Del Dolore Post Operatorio, Serpenti, Deluded By Lesbian, Io ho sempre voglia, Fabryka. Il dj salentino Congorock si è invece esibito nella prestigiosa Aréna, mentre il combo electro-house dei lombardi Crookers ha avuto il compito di trasportare oltre la mezzanotte l'audience dell'A38 giovedì sera. Problematico inquadrare invece il live del Teatro degli Orrori, sempre all'Aréna, venerdì pomeriggio.
Il concerto è andato benissimo, ma gli astanti erano sostanzialmente tutti italiani a conferma di un fatto abbastanza eclatante: le possibilità di fortuna all'estero di gruppi che hanno scelto il linguaggio del rock non possono prescindere dalla scelta dell'inglese come idioma per i testi delle canzoni.

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