SPORT

Settebello zemaniano

LONDRA 2012
PATRONO MATTEO,INVIATO A LONDRA

Dice Sandro Campagna, il ct Pokemon del Settebello, quello della pallanuoto intesa come evoluzione continua, tutta tagli, movimento e intensità, che lui e Zdenek Zeman hanno in comune la stessa capacità di trasferire le proprie idee ai loro giocatori. «E più sono ardite e complicate le idee, più è difficile trasmetterle al gruppo. Ma quando ci riesci, è una goduria pazzesca». Non solo. «Con Zeman, ci accomuna la cultura del lavoro. Lui viene dalla pallamano che è uno sport dove serve una grande preparazione fisica oltreché tattica». Detto da un siciliano juventino come lui, questo elogio dell'allenatore boemo è roba forte. E viene da lontano, quando anche il cuore del giovane Zeman appena sbarcato a Palermo in fuga dai carriarmati di Praga, batteva insospettabilmente per la vecchia signora. «La mia famiglia affittava una cabina a Mondello. Accanto a noi c'era Cestmir Vycpalek, l'allenatore della Juve, lo zio di Zeman. Giocava a scopone con papà e nonno. Io me ne stavo lì davanti col mio pallone e i suoi nipoti, c'era anche Zdenek. Ogni tanto Cesto si voltava verso di me e col suo vocione prometteva: Sandrino, tra qualche anno ti porto con me a Torino». Quarantanove anni, siracusano fumantino e carismatico, più di quattrocento partite sulle spalle e duecento da allenatore, Sandro Campagna è l'uomo che ha ricostruito dalle fondamenta il Settebello azzurro che oggi sfida la Croazia nella finale per l'oro olimpico di Londra. Venti anni esatti dopo i giochi di Barcellona '92, quando un altro Settebello scrisse una delle pagine più memorabili della pallanuoto italiana, superando in finale la Spagna davanti a re Juan Carlos. Campagna c'era, in acqua, fu lui a dare l'assist a Gandolfi per il gol decisivo dopo sei infiniti tempi supplementari. C'era anche Ratko Rudic, il sergente di ferro slavo che aveva costruito quel gruppo destinato a dominare la vasca per un quadriennio, pure lui in acqua alla fine insieme ai suoi ragazzi. Il baffone croato nato a Belgrado che mille vite dopo l'Italia ritrova sulla sua strada qui a Londra, alla guida di Boskovic e compagni. Ti ricordi Ratko, ti ricordi? «Aaaah, una partita meravigliosa. Ricordo le facce della famiglia reale. E ricordo che Campagna era uno dei giocatori più importanti della nostra squadra. Poi quando ha smesso, è diventato mio assistente, ne ha fatta di strada da allora. Oggi è uno degli allenatori più bravi in circolazione. Ci vogliamo bene, siamo grandi amici. In finale saremo grandi avversari e poi di nuovo amici». Appassionato di scacchi, 63 anni, Rudic è alla sua dodicesima olimpiade. La prima nel 1968, da nuotatore e da riserva della squadra di waterpolo. È stato un discreto giocatore del Partizan ma è in panchina che ha costruito la sua leggenda. Oro alle Olimpiadi di Los Angeles '84 e Seul '88 con la Jugoslavia, oro con gli azzurri a Barcellona. Con la Croazia, farebbe poker con tre squadre diverse, mai riuscito a nessuno. «Come dite voi italiani? - sorride sornione dopo l'ultimo allenamento - Scusate ma meglio grattarsi». Sostiene Rudic che forse l'ex allievo ha preso qualcosa dal vecchio maestro ma che la pallanuoto di Campagna è tutta un'altra storia. Venerdì sera, dopo il successo in semifinale sulla Serbia, il veterano Maurizio Felugo l'ha definita un gioco a incastri, «avete presente Tetris, no?». In acqua, Felugo è l'alter ego di Campagna, il tattico che richiama i compagni a rispettare il piano partita. «Il mio Pirlo, se vogliamo restare ai paragoni calcistici», puntualizza il ct. Felugo nel '92 era un bambino di Rapallo che già sguazzava nel cloro con la calottina e il pallone e del Settebello di Rudic e Campagna ricorda solo una voce. «Quella del carissimo Alfredo Provenzali che dall'autoradio della macchina di mio padre gridava col solito tono pacato: Gandolfi, Gandolfi, Gandolfi!». Quel riferimento agli incastri serve però a Campagna per spiegare meglio perché il gioco degli azzurri è così diverso, rivoluzionario, postmoderno. Zemaniano. «Il nostro è un gioco di logica basato sulla lettura delle situazioni e sulla capacità di trovare sempre delle contromosse ai nostri avversari, soprattutto quelli più grossi di noi dal punto di vista fisico come serbi e croati. È però anche un modello di fantasia che ha aperto una nuova strada perché io mi ero rotto un po' le scatole del vecchio gioco che prevedeva sempre e soltanto il rispetto di determinati ruoli. Amo molto il basket e ho pensato che dalla pallacanestro si potessero mutuare i tagli, il pick and roll , i blocchi, le entrate parallele per disorientare gli avversari. Qui sta la vera novità del nostro gioco che ha dato speranza a tutte le vittime dello strapotere della scuola balcanica, quella incentrata sulla forza fisica e mentale, quella di Ratko». Quando parla di Rudic, Campagna lo fa con affetto e stima infinita. «C'è fra noi un legame speciale che va ben al di là di questa finale. Mi ha introdotto lui in questo mestiere, ho iniziato portandogli i palloni, poi ascoltandolo in silenzio, studiando ogni minimo dettaglio del suo lavoro. Quando mi chiedeva un consiglio, era un onore. La sua lezione più importante è la capacità di analizzare le partite indipendentemente dal risultato. Questa però non è una sfida contro Ratko ma contro una squadra solida, fortissima, in grande forma. Hanno pochi punti deboli ma li hanno. Dobbiamo sgretolare le loro certezze con ritmo, freddezza e imprevedibilità. I croati proveranno a stancarci fisicamente, noi dobbiamo sfiancarli natatoriamente». Campagna ammette senza imbarazzo che il suo Settebello, quello del '92, aveva più talento di questo. Ma che allora, a causa della guerra, la Jugoslavia non partecipò mentre oggi quello squadrone si è moltiplicato. Non fosse stato per l'Italia, il podio sarebbe stato tutto balcanico con Croazia, Serbia e Montenegro. La Croazia ci ha già battuto nel girone iniziale, 11-6, ma quello era un Settebello che stava ancora carburando, la preparazione è stata mirata per arrivare in forma nell'ultima settimana dei Giochi. «L'ho detto ai ragazzi - chiosa il ct - non ci accontentiamo dell'argento. Voglio vincere e andarmene al mare». Chiudendo un cerchio che è un altro tunnel nel tempo. Perché il nome del Settebello nasce proprio a Londra, ai Giochi del 1948, quando il principe delle radiocronache Niccolò Carosio fu spedito in piscina e si imbattè in un gruppetto di giocatori della Rari Nantes Napoli. Ermenegildo Arena, Pasquale Buonocore, Emilio Bulgarelli. Durante le lunghe trasferte in treno verso la Liguria erano soliti giocare a scopa. «Noi siamo quelli del Settebello - dissero a Carosio - alla radio ci chiami così». E nacque il mito della pallanuoto azzurra.

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