SPORT

Josefa Idem, l'ultimo sprint

PATRONO MATTEO,INVIATO A LONDRA

La signora delle canoe se ne va con la leggerezza e la dignità di una carriera infinita nel nome dello sport. Alla sua ottava olimpiade, Josefa Idem dice basta dopo l'ultima pagaiata sul bacino artificiale di Eton Dorney. Chiude quinta nella finale olimpica del K1, per la prima volta da quando veste i colori azzurri non sale sul podio ma non importa a nessuno, nemmeno a lei. Il bronzo le sfugge per tre decimi, «dio bono, è mancato solo quel pochino in più», dice alla fine nel suo romagnolo in salsa tedesca. A Pechino 4 anni fa aveva perso l'oro per 4 millesimi e aveva gioito lo stesso, figurarsi se può arrabbiarsi questa volta, al passo d'addio. «Si poteva fare meglio ma ci siamo, è finita. È stato bello sognare insieme. Spero di aver ispirato i giovani, ma spero soprattutto di essere stata fonte di ispirazione per la mia generazione: non è mai troppo tardi per mettersi in moto. Questo è il messaggio che mando a chi ha la mia età».
A 47 anni, quasi 48, questa eterna ragazza di Goch si è regalata un ultimo sprint con avversarie che avevano tutte, almeno, 20 anni meno di lei. Già ad Atene nel 2004 le davano della nonna, lei che si accomodò in canoa da bambina per accompagnare la sorella più grande e cominciò a vincere subito andando senza sedile. Alla finale di ieri, era arrivata col settimo tempo su otto ed è partita piano come al solito, lasciando andare le avversarie fino ai 250 metri. Lì ha preso a mulinare e risalire posizioni, ai 400 era punta a punta per il bronzo con la sudafricana Bridgitte Hartley. «Poi ho cominciato a guardare il traguardo e ho perso un po' di concentrazione». Ha vinto l'ungherese Danuta Kozak, 25 anni, in 1'51"456. Argento a Inna Osypenko-Radomska, 29 anni, l'ucraina che aveva beffato Josefa a Pechino sul filo di lana (1'52"685). Bronzo alla Hartley, 29 anni pure lei, 1'52"923. Quarta la svedese Sofia Paldanius, 33 anni, 1'53"197, un pelo prima dell'azzurra che ha chiuso in 1'53"223.
Ad attenderla alla fine c'erano i figli e il marito-allenatore, Guglielmo Guerrini, l'uomo che sposandola l'ha fatta diventare italiana e poi l'ha aiutata a diventare una delle donne simbolo dell'olimpismo. «È colpa o merito suo se sono arrivata fino a Londra - confessa Josefa stremata - dopo Pechino ci sono stati momenti in cui pensavo, sono troppo vecchia. Mi sentivo una zattera in mezzo al mare. Ma poi mio marito mi ha convinto che un'ultima corsa per la medaglia si poteva fare anche alla mia età. E in effetti qui sono stata in gara fino all'ultimo, aver lottato per il bronzo è un gran bel risultato. Ora però smetto».
Una volta diceva che le Olimpiadi sono come i figli, un gran dolore farli uscire ma una volta che li prendi in braccio ne vuoi subito fare un altro. Proprio sicura Josefa che è la volta buona che lasci? «Ho fatto la canoista per 36 anni, una fatica e un dolore fisico che non riesco più a sopportare. Sono stata una donna acrobata tra sport e famiglia, con un sacco di sensi di colpa, forse troppi, perché ero sempre ad allenarmi. Diciamo che non lo giuro sulla testa dei miei figli, ma è molto, molto improbabile che torni a gareggiare. Ora inizia una nuova vita. Era tempo che ci pensavo e quando inizi a guardare avanti, passando più a tempo ad immaginare il tuo futuro anziché concentrarti sul presente, vuol dire che è arrivato il momento di smettere».
Dopo esser stata poliziotta in gioventù, quando ancora viveva nella natia Germania, poi atleta da cinque medaglie olimpiche, poi anche assessore allo sport al comune di Ravenna per il centrosinistra, Josefa ha le idee chiare su cosa vuole fare nella prossima vita. «Voglio scrivere, andare ai giochi di Rio e raccontare le storie degli altri. In questi anni ho scritto qualche articolo per la Gazzetta, voglio continuare, ora avrò più tempo per fare ricerche, per scovare quelle storie dei perdenti che nessuno ascolta mai e che invece hanno tanto da insegnare ai giovani che crescono sognando di avere il conto in banca dei calciatori. Anche se poi qui a Londra la storia che mi ha commosso di più è stata vedere una leggenda dello sport britannico come Sir Steve Redgrave mettersi a disposizione dei canottieri inglesi con grande umiltà, stare al loro fianco, sostenerli. Restituire un po' di tutto quello che ha avuto dallo sport. Ecco il mio prossimo articolo sarà su di lui, un vincente per il modo in cui è uscito di scena».
Qualcuno tra i tanti giornalisti che la circondano le chiede allora di Schwazer, del suo caso di doping che due giorni fa aveva sconvolta anche lei. «Io guardo ad Alex come un figlio che ha sbagliato. È giusto che paghi per quello che ha fatto ma allo stesso tempo deve avere la possibilità di rifarsi una vita. Ho sentito le sue parole e ho capito quanto fosse pressato dalle aspettative e quanto noi crediamo solo nei risultati assoluti. Io a 24 anni volevo smettere. Avevo un allenatore autoritario e non mi piaceva neanche troppo la canoa, ma non volevo buttare via il dono che avevo. Diciamo che all'inizio è stato un matrimonio combinato, l'amore è venuto dopo».
Tra i ricordi di un'avventura cominciata con un bronzo alle Olimpiadi di Los Angeles '84, quando c'era ancora il Muro e lei gareggiava per la Germania, il più bello - dice - è stato l'oro di Sydney 2000, quando fu costretta ad aspettare sei ore prima di salire in canoa perché non smetteva mai di piovere. All'Italia ha dato il meglio della sua carriera sportiva, il bronzo di Atlanta '96, l'argento di Atene e Pechino, più titoli mondiali ed europei in quantità industriale.
Nessuna l'ha mai fatta sentire straniera e sulla sparata di Beppe Grillo sulle Olimpiadi come trionfo del nazionalismo, non le manda certo a dire. «È un patacca, come si dice in Romagna. Siamo un paese che si emoziona e si appassiona per lo sport, ma questo non vuol dire che andiamo a fare delle guerre. Inoltre, questa è una nazionale con un alto tasso di atleti nati altrove, come me. Grillo cerca solo un po' di attenzione mediatica, non è giusto denigrare gli atleti e chi fa il tifo per loro».
Ecco Josefa, sei già pronta per fare il ministro dello sport, dice qualcuno. Magari potresti dare una mano a Monti ora che in Italia si respira un clima decisamente anti-tedesco. «No grazie, sono allergica alle poltrone e non mi piace entrare in questioni politiche. Penso che quando le critiche le fanno altri con cui si è deciso di condividere un progetto bisogna accettarle e mettersi in gioco. Io vengo da un paese che viene spesso preso a modello e ne ho scelto un altro che altrettanto spesso si butta giù da solo. L'Italia è molto meglio di quanto si crede, deve darsi un po' di regole che indubbiamente mancano, degli obiettivi concreti. Ma basta poco. Altro che spread, facciamo vedere quel che sappiamo fare».
La chiacchierata è finita, c'è stata anche una piccola lacrima che a un certo punto è spuntata sotto gli occhiali gialli e neri, ma soprattutto tanti sorrisi. I figli la reclamano, il marito se la porta via. «Stasera mi faccio un bicchiere di vino con lui finalmente. L'ho costretto per anni a seguire la mia dieta di cereali, è tempo di festeggiare la nuova vita che abbiamo davanti. E fare finalmente gli sposini».
Ciao Josefa, buona avventura.

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