VISIONI

La sarda hispanidad rimbalza da Buenos Aires a Trinidad

MUSICA - Al Dromos di Oristano, l'arte di matrice iberica in sette tappe
CORZANI VALERIO,ORISTANO

Il concetto di «Hispanidad» è insieme lasco e agglomerante. È un termine col quale si intende definire non soltanto una cultura ma anche un sentire, non soltanto un popolo ma anche un'attitudine, non soltanto un luogo geografico ma anche un retaggio. Seguendo questo filo rosso così seducente gli organizzatori del Dromos Festival hanno coagulato una serie di eventi e di occasioni concertistiche che si richiamano al modello ispanico e nel farlo hanno ovviamente sottolineato anche le radici ispaniche delle terre in cui si svolge questa kermesse.
Ci troviamo nel bel mezzo della costa ovest dell'isola, e sono tanti i comuni e le località che vengono toccate dall'itinere festoso del Dromos (chiusura stasera). Tutti questi luoghi - Oristano in primis ma anche Nurachi, Baratili San Pietro, Nureci, Mogoro, Olmedo - fanno parte di un ventaglio geografico che ha macerato nei secoli un sentimento di hispanidad, frutto di quasi quattrocento anni di dominazione iberica (prima catalana, poi castigliana). La «Sarda Hispanidad» si rivela al Dromos attraverso le invenzioni di Sos Aldianos (dal sardo ardianos e dallo spagnolo aldeanos, abitanti del villaggio), un'insegna progettuale che raccoglie quattro talenti insulari lungimiranti e fertili come Paolo Fresu, Antonello Salis, Gavino Murgia, Bebo Ferra, ma anche nelle fibrillazioni pulsanti del Barrio Sud, una costola patchankesca dell'universo post-Manonegra attiva a Cagliari fin dal 2006.
L'arte di matrice iberica e le tracce di una latinidad poco conosciuta e poco frequentata rimbalzano al Dromos anche da approfondimenti letterari in sette tappe affidati ad autori dalla Spagna, narrazioni cubane, scrittori colombiani, reporter e testimoni sardi che raccontano l'America Latina, mentre due mostre a Oristano affrontano il tema con lo sguardo della contemporaneità visiva e polimorfa convocando artisti diversi e complementari come Carlos Garaicoa, Francis Nanranjo, Matteo Pettei, Barbara Serra, Ale De La Puente e Gianluca Ledda.
Ma il Dromos, giunto quest'anno alla sua 14/ma edizione, è soprattutto concerti ed è innanzitutto perlustrazione della musica del mondo. L'Hispanidad, nella porzione di festival che possiamo seguire e raccontare è innanzitutto il deambulare virtuosistico della chitarra di Vicente Amigo, maestro di flamenco supportato da un quintetto di musicisti mirabili tra i quali spicca Rafael Usero Vilches, cantaor dalla voce aguzza e dal piglio potentissimo. Più ampiamente può definirsi «hispanidad» la coscienza di un legame ideale fra la Spagna e i paesi originati dalla conquista spagnola delle Americhe, aventi un comune legame spirituale, culturale e religioso. Legame che dall'altra parte dell'oceano prende, dal punto di vista musicale, i connotati del tango, rappresentato degnamente al Dromos dal Trio Negro di Juan Carlos Caceres.
Il tango di Caceres è, se possibile, ancor più meticcio e sincretico di quello veicolato dai grandi maestri del barrio di Buenos Aires e affonda le sue pulsioni in una vastissima serie di inflessioni folk, non soltanto argentine, ma anche uruguagie, brasiliane, cubane. Caceres ci mette poi il grip del cantautore di razza e miscela il tutto con la naturalezza di un talento esperto e nomadico.
Nomade è senz'altro anche il pedigree di Anthony Joseph, poeta, scrittore, accademico e musicista, nato a Trinidad, nei caraibi, e trasferitosi a Londra nel 1989. La sua è un'hispanidad complessa, venata di funkitudine e ispessita da una vena poetry militante e dionisiaca. Più semplicemente festaiola e anche un po' raffazzonata pare invece la proposta dell'Onda Tropica ovvero il connubio del dj e producer britannico Quantic (alias Will Holland) con il Frente Cumbiero, una formazione di stelle della musica colombiana che vuole provare a ripercorrere il giochino molto remunerativo del Buena Vista Social Club. Temiamo che l'operazione non abbia molte speranze di riuscita, perché troppo artefatta e poco, davvero poco, lubrificata.
Questo percorso così coerente dal punto di vista del tema esplorativo del festival comprende anche l'afro-flamenco della maiorchina di origini guineane Concha Buika e il pianista cubano Omar Sosa ma si concede anche un'eccezione vera, rappresentata dal passaggio di una vera icona della musica sudafricana: il trombettista, flicornista e cantante Hugh Masekela. Eccezione sorprendente e confortante perché Masekela si presenta all'interno del Giardino del Seminario di Oristano in splendida forma, supportato da un quintetto che lo asseconda nell'arte sublime delle dinamiche e che mette in spolvero il suo mirabile afro-jazz.
Le recenti prove discografiche dell'ex compagno di Miriam Makeba facevano presagire il peggio e invece al Dromos arriva un musicista depurato dalle inflessioni pop e dalle tentazioni fusion. Si presenta semplicemente come il titolare di una ricetta inossidabile, maneggiata con grande maestria e con la spudoratezza di chi è nato nel 1939 e frequenta i palchi da una vita.

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