Domenica sera, stadio Olimpico di Londra, ore 21.54. Il giudice della finale dei 100 metri maschili dà il segnale del set. Gli otto uomini più veloci dell'olimpiade si alzano sui blocchi pronti a scattare come molle. C'è un silenzio irreale nell'aria. Fino a pochi secondi prima 80mila persone gridavano più forte della musica assordante sparata dagli altoparlanti dell'impianto di Stratford. Tutti zitti ora per la finale più attesa dei giochi. Set and...tung! Un rumore sordo e plasticoso rimbalza nell'aria per un decimo di secondo prima che lo sparo del via riaccenda l'urlo feroce della folla a coprire ogni cosa. Da lì in poi orecchie, cuore e occhi sono solo per Usain Bolt che vola a riprendersi l'oro della velocità. Non quelli di Edith Bosch però, una judoka olandese appostata in tribuna a pochi metri dalla linea di partenza che ha appena visto la genesi di quel tung.
È una bottiglia verde, probabilmente di birra, lanciata da un signore con gli occhiali scuri che bercia insulti contro il mondo in piedi accanto a lei. La bottiglia disegna una parabola arcuata e finisce la sua corsa in pista, nella corsia 5, quella occupata dal giamaicano Yohan Blake, l'amico-rivale di Bolt. Fa un paio di rimbalzi e si ferma lì a un metro dai blocchi, fortunatamente senza sfiorare nessuno. Qualcuno dei due miliardi di persone che hanno visto la gara in tv, l'avrà forse notata nei mille replay della serata. Dirà più tardi Bolt, che l'anno scorso per colpa di una falsa partenza aveva perso la finale mondiale di Daegu. «Ho sentito qualcosa alle mie spalle ma pensavo a tutt'altro in quel momento». Blake, medaglia d'argento. «Una bottiglia? Non mi sono accorto di nulla». Justin Gatlin, bronzo. «Eccome se l'ho sentita ma non credo abbia influito sulla gara».
Sulla loro forse no, su quella della spettatrice Edith Bosch certamente sì. Unica donna in mezzo a un drappello di uomini totalmente inermi, la judoka ha reagito d'impulso rifilando uno schiaffone a mano aperta sulla schiena del malcapitato lanciatore, bloccandolo e consegnandolo poi agli steward accorsi pochi secondi dopo. Commento di Lord Sebastian Coe, presidente del Comitato organizzatore. «C'è una sorta di giustizia poetica nel fatto che l'autore di un gesto tanto incivile fosse accanto a una campionessa di judo». Commento via twitter della campionessa, medaglia di bronzo nella categoria 70 kg, nome di battaglia Bambi (ma anche Foresta), manager part-time delle Ferrovie olandesi, 32 anni. «Per colpa di questo ubriacone testa di cazzo mi sono persa la finale di Bolt. Maledizione». Ora spera che le regalino un biglietto per quella dei 200.
Secondo Scotland Yard, l'ubriacone in questione è l'arresto numero 115 messo in atto dall'inizio delle Olimpiadi nelle operazioni di polizia legate alla sicurezza dei giochi. Appena il settimo dentro gli impianti di gara. Il quarto fermato in stato di confusione alcolica dopo due bevoni che si spacciavano per poliziotti e un altro che si era scolato dieci pinte e poi aveva pensato bene di andarsi a fare una nuotata nel Tamigi. L'ubriacone numero 115 si chiama Ashely Gill-Web, ha 34 anni, due figli e vive a South Millford, nei dintorni di Leeds. Accusato di molestie, minacce e disturbo della quiete pubblica, ieri pomeriggio è comparso davanti al giudice e si è dichiarato non colpevole.
È quantomeno curioso che nel giorno in cui ricorre l'anniversario dei riots che l'estate scorsa sconvolsero Londra, il faccione bianco di questo signore dello Yorkshire diventi il simbolo dell'operazione sicurezza che ha ossessionato gli organizzatori dei giochi e il governo inglese fino alla cerimonia di inaugurazione e che poi, con più di 17mila soldati sparpagliati per le strade di Londra, ha portato ai seguenti risultati.
Cinquantotto arresti per bagarinaggio, sette per aggressione, due per elemosina vicino agli stadi, dieci per reati di droga, uno per danni criminali, due per resistenza a pubblico ufficiale, sette per frode, uno per immigrazione illegale, uno per molestie sessuali, undici per offese a pubblico ufficiale, sei per furto, quattro per rapina, uno per possesso di armi e uno perché il sospetto è stato pizzicato con gli attrezzi del mestiere (si presume piede di porco). L'ossessione sicurezza di Londra 2012 è però perfettamente riassunta dall'unico fermo per terrorismo messo a segno sin qui. Un ragazzino di 17 anni, arrestato il 28 luglio alla stazione del treno di Stratford vicino allo Stadio Olimpico, interrogato e quindi rilasciato senza ulteriori spiegazioni.
Se poi anche l'uomo più veloce del pianeta arriva a lamentarsi dello zelo eccessivo delle guardie dei giochi che lo hanno obbligato a fare la fila al metal detector poche ore prima della finale dei 100 vietandogli di portare con sé una corda da salto che Bolt usa per il riscaldamento («che razza di strane regole sono queste, man?»), uno può legittimamente chiedersi come diavolo abbia fatto invece il signor Gill-Webb a portarsi in tribuna quella proibitissima bottiglietta di plastica che ora campeggia su tv, siti e giornali di tutto il mondo. Ma tant'è.
Infine. Dei 115 colpi messi a segno da Scotland yard non fanno parte i 182 ciclisti di Critical Mass che la sera dell'inaugurazione furono arrestati per aver tentato di varcare la zona rossa del parco olimpico. Non tutti, a dire il vero, erano lì per partecipare all'abituale raduno mensile della massa critica londinese che, nell'occasione, voleva esprimere il proprio dissenso contro le limitazioni olimpiche alla libertà di pedalare. Qualcuno passava di lì per caso, qualcun'altro era venuto per fare casino di proposito senza amare particolarmente le due ruote. Tutti ammanettati, rinchiusi in un autobus, in un garage, i più sfortunati portati in cella. La più grande detenzione di massa dalla rivolta dell'estate scorsa, con tanto di gas lacrimogeni e qualche colluttazione. Tra i fermati un bambino di 13 anni e un cicloamatore malese che si era fatto 9320 km dall'India passando per Turchia, Romania e Germania fino a Londra per venire a seguire le gare di ciclismo.
Tranne tre ancora in carcere, sono stati tutti rilasciati ma non potranno entrare nel parco olimpico fino a settembre, neanche quelli che avevano comprato I biglietti per i giochi. È un peccato che per loro l'eroe del ciclismo britannico Bradley Wiggins non abbia speso nemmeno una parola.