SPORT

Il fantasma di Fernando

PATRONO MATTEO,LONDRA

Fernando non c'è. Non è venuto a Londra, non l'hanno convocato, ha fatto perdere le sue tracce. Anche il suo account di twitter tace, è fermo al 30 giugno, giorno del suo 35esimo compleanno. Auguri, abbracci, ringraziamenti, poi silenzio. Ai giochi lo aspettavano in molti, un po' per curiosità, un po' per fastidio (gli inglesi soprattutto). Perché Fernando Zylberberg è quel giocatore di hockey argentino che a maggio ha sollevato un bel casino con un video nel quale lo si vedeva correre su e giù per le Isole Falkland/Malvine. Ricorreva l'anniversario della guerra anglo-argentina che nel 1982 provocò 900 morti in 74 giorni, diede il colpo finale al regime dei generali e regalò invece forza e popolarità a Margaret Thatcher. Nel filmato, Zylberberg si allenava per le strade di Port Stanley, la capitale dell'arcipelago dell'Atlantico meridionale, passando davanti ad alcuni luoghi altamente simbolici: la Globe Tavern, gli uffici del quotidiano Penguin News, il monumento ai caduti britannici, la classica cabina telefonica inglese. Lo sguardo fiero, il cappuccio in testa e via tra flessioni, esercizi e corsa furiosa. Il punto d'arrivo, le rocce dei pinguini che si affacciano sull'oceano. Lì, ecco il guanto di sfida. Una scritta tra le nuvole in movimento. «Per vincere sul suolo inglese, ci alleniamo sul suolo argentino». Firmato, Presidencia de la Nacion. Casa Rosada, Republica Argentina. Omaggio ai caduti e agli ex combattenti delle Malvine. Urca. Il primo effetto dello spot trasmesso dalla televisione argentina, è stato mandare su tutte le furie il ministero degli Interni britannico, particolarmente irritato per il riferimento al memoriale dei soldati inglesi. «Le Olimpiadi sono sport, non altro. Condanniamo fermamente questo tentativo irrispettoso di sfruttare i giochi per fini politici». A ruota, la censura del Cio, del Comitato organizzatore di Londra 2012, dei cittadini britannici delle Falkland. Il secondo effetto, quasi immediato, è che Zylberberg, un veterano della nazionale argentina con due olimpiadi alle spalle (Atene 2004 e Pechino 2008) e un oro ai Giochi Panamericani del 2003, viene escluso dalla spedizione albiceleste in partenza per la Sultan Azlan Shah Cup in Malesia, ultimo torneo di preparazione olimpica in programma la settimana successiva. Lui ammette candidamente di averla fatta grossa. «E' vero, abbiamo filmato di nascosto approfittando del fatto che in quei giorni si correva una maratona e tra i partecipanti c'erano diversi reduci di guerra. Il messaggio direi che è chiaro, per noi le Malvine sono isole argentine». Imbarazzatissimo, il presidente del Comitato olimpico argentino rilasciava una nota ufficiale nella quale era costretto a sconfessare il video. «Non è accettabile utilizzare i giochi per gesti di natura politica. Assicuro che a Londra tutti gli atleti argentini si comporteranno nel pieno rispetto dello spirito olimpico». Eccoli qui dunque gli hockeisti argentini sul suolo inglese. Sono diciotto in tutto: il più giovane, il difensore Gonzalo Peillat, ha 20 anni; il numero dieci, Matias Enrique Paredes, il punto di forza della squadra, è nato un mese prima che l'Operazione Rosario desse il via al conflitto-lampo. Ci sono cinque giocatori di chiare origini italiane: Rossi, Mazzilli, Montelli, Cammareri, Callioni. Il più vecchio è il capitano, Matias Damian Vila, classe 1979, regista, una famiglia di hockeisti (con lui in squadra ci sono i fratelli Rodrigo e Lucas Martin). E' giorno d'allenamento, un'amichevole con la Corea del Sud alla Riverbank Arena. Domani sera l'Argentina fa il suo esordio al torneo olimpico. Avversario, guarda te il caso, la Gran Bretagna, favorita numero uno per l'oro insieme all'Australia. Capitan Vila si ferma a parlare con gli unici due giornalisti presenti, un reporter inglese e l'inviato del manifesto . E' un tipo alla mano, diplomato in ragioneria, allenatore part-time della squadra femminile Banco Provincia, proprietario del primo e unico negozio di hockey a Buenos Aires. Ha le idee piuttosto chiare. «Non siamo certo i migliori ma abbiamo grandi sogni. Conosciamo gli inglesi, sono forti, soprattutto in difesa ma noi abbiamo attaccanti di grande tecnica, ci proviamo. Vogliamo dimostrare di essere una buona squadra. Vogliamo diventare forti come le ragazze». Le chicas argentine dell'hockey sono campionesse del mondo in carica, le chiamano le Leonesse, alle inglesi le suonano regolarmente. Proviamo a prenderla un po' alla larga, la storica rivalità anglo-argentina, Maradona... Il collega inglese però va dritto al punto. Perché Fernando Zylberberg non è qui con voi? E' stato punito per il video dello scandalo? Vila risponde con calma, senza il minimo imbarazzo. «No, per carità. Se non è stato selezionato per le Olimpiadi, è solo perché veniva da un anno di infortuni che gli hanno impedito di prepararsi al meglio. E' rimasto in ritiro con noi fino a due settimane fa, era dispiaciuto ovvio ma è stato il primo ad ammettere che non ce la faceva». Nel video, a dire il vero, sembrava in grande forma. «Volete la verità? Fernando è stato ingannato, gli avevano detto che era una pubblicità, una cosa di marketing, politicamente scorretta sì ma ironica. Pensate che l'agenzia che l'ha prodotto è inglese. Non sapeva che fosse stato commissionato dal governo. A nessuno di noi è piaciuto il modo in cui hanno usato Fernando. In Argentina l'hanno mandato in onda un paio di volte, poi è sparito, credo abbia suscitato clamore solo qui in Inghilterra. Comunque prima di partire ci ha chiesto di fargli il favore di battere los ingleses». Ecco appunto, la presidente Cristina Kirchner non è venuta alla cerimonia inaugurale dei giochi perché David Cameron si rifiuta di affrontare l'argomento Malvine. Ci vorrebbe un Maradona dell'hockey per prendersi un'altra rivincita sportiva, come nell'86 ai mondiali del Messico. «Io ero un ragazzino all'epoca, però quella partita con l'Inghilterra l'ho rivista in tv un centinaio di volte. Il fatto è che calcio e hockey hanno davvero poco in comune, non c'azzeccano nulla». E se la mano de dios funzionasse pure nell'hockey? «La mano? Naaaa. Semmai il piede di dio. Ma ci vorrebbe Diego, comunque. Qui ahinoi siamo tutti scarponi».

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