VISIONI

La dura realtà stordisce chi non impara a vivere

SI GIRA - Visita sul set della «Variabile umana» di Bruno Oliviero
MOSSO LUCA,MILANO

Le riprese sono iniziate da una settimana, tutto è ancora da fare, ma Bruno Oliviero e Lionello Cerri, l'uno regista e l'altro produttore di La variabile umana, non nascondono un certo entusiasmo nella presentazione alla stampa del loro film. Cerri, che per la prima volta produce il film di un esordiente, ha schierato un gruppo di attori - Silvio Orlando, Giuseppe Battiston, Sandra Ceccarelli - con cui ha una collaudata consuetudine e Oliviero, alle prime armi nel cinema di finzione, non mostra timidezze di sorta. Con una certa baldanza incassa i complimenti di Silvio Orlando («è un esordiente ma sul set è talmente a suo agio che sembra non abbia mai fatto altro») e soprattutto spiega di aver progettato la relazione principale del film chiedendo ai due attori Silvio Orlando e Giuseppe Battiston di recitare quasi in controruolo.
Nel film tocca a Battiston, uno che crede ancora nella funzione civile del poliziotto, il compito di promuovere l'azione e, anche a costo di una certa cattiveria, vincere l'inerzia un po' mortifera del disilluso Orlando. Molto netta anche la cesura con le precedenti esperienze da documentarista. «Non ci sono scene improvvisate o riprese che mimano l'incertezza del cinema della realtà: tutto è stato pensato e scritto. È cinema diretto - scherza - solo perché l'ho diretto io». Piuttosto è nella costruzione del percorso del protagonista che riconosce una qualche parentela con il documentario.
Ma con la preparazione del documentario, non con la sua pratica. «Monaco, interpretato da Silvio Orlando, è reduce da una profonda depressione che l'ha portato a rinchiudersi nel suo ufficio e a guardare alla realtà solo attraverso i documenti giudiziari. Quando, controvoglia, inizia la sua indagine sperimenta un'immersione progressiva e un po' stordente nella realtà. Dove persone d'ogni tipo gli riversano addosso confidenze per lo più inutili all'accertamento della verità, ma quasi sempre testimonianza di una sofferenza profonda. È quello che accade quando si comincia a lavorare a un documentario: come in un'indagine, si vagliano ipotesi e si seguono piste e, così facendo, si viene investiti da storie d'ogni tipo dentro le quali è facile perdersi e perdere il film».
Monaco è un personaggio che deve reimparare a fare il suo lavoro e a vivere: nel confronto con la figlia un po' sbandata (interpretata dall'esordiente Alice Raffaelli), è lui che deve riappropriarsi degli strumenti di conoscenza e di azione sulla realtà e accettare la responsabilità delle sue scelte. Tutto il contrario di quanto si trova nel recente noir nazionale, dove le indagini (siano su piazza Fontana o sulla banda della Magliana) sono regolarmente dominate da forze oscure, grandi vecchi e intangibili complotti rispetto ai quali il massimo possibile è mantenere un certo stile da perdente di classe.
La precisa intenzione politico-civile non poteva trovare sfondo diverso da Milano, secondo Oliviero «la città dove si concentra il peggio e il meglio dell'Italia, dove per prime si manifestano le tendenze che domineranno gli anni successivi, dove le istanze collettive si mescolano in modo molto stretto con gli interessi privati. Si pensi solo al ruolo della borghesia illuminata, di cui anche Pisapia è espressione». E il film è ambientato in una primavera piena di temporali, ricercata metafora della situazione attuale di una città sospesa tra rinascita e delusioni. «L'obiettivo è di portare sullo schermo l'intreccio di fascino e orrore che riconosco alla città. È la cosa più difficile perché Milano è una città opaca, priva di un aggiornato immaginario cinematografico. La ricerca di luoghi dove la bellezza è sempre un po' sinistra ha un aspetto documentaristico, ma, come dice il direttore della fotografia Renaud Personnaz, di un documentario di fantascienza che cerca di immaginare il futuro prossimo».

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