La cancelliera Merkel andrà al vertice del 28 e 29 giugno a Bruxelles come alla guerra, pronta a battersi contro i mulini a vento degli eurobonds e contro ogni altra forma di condivisione delle garanzie sui debiti nazionali degli stati europei. Più che un'Angela, ieri alla tribuna del Bundestag è apparsa un'Arcangela con la spada fiammeggiante, decisa a respingere chiunque proponga «soluzioni comuni» a breve per sostenere i corsi dei debiti pubblici di paesi come la Spagna o l'Italia: «Eurobonds o eurobills sono economicamnete contraproduttivi», «pseudosoluzioni», che al massimo produrrebbero effimeri «fuochi di paglia».
A sentirla è chiaro che nessun sollievo potrà venire dal vertice, né per Madrid né per Roma. E per questo, come già in passato, toccherà alla Banca centrale europea scendere in campo, a surrogare l'incapacità dei politici a intervenire. Il capo dell'ufficio studi, il belga Peter Praet, preannuncia una riduzione del tasso di sconto, in un'intervista che apparirà oggi sull'edizione tedesca del Financial Times: «Nessuna dottrina vieta di portare il tasso di sconto sotto l'1 per cento». La maggior parte degli esperti punta su un piccolo passo di un quarto di punto allo 0,75 per cento, ma qualcuno non esclude che la riduzione possa essere più spettacolare.
«Ai corsi attuali non potremmo finanziarci a lungo soltanto con le nostre forze», ha messo ieri in guardia il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy. E sempre ieri l'Italia, per vendere titoli a 6 mesi, ha dovuto offrire interessi del 2,95 per cento, un tasso che ritorna ai livelli toccati alla fine del 2011, quando la Bce cominciò a concedere grossi prestiti alle banche per incoraggiarle a comprare titoli di stato. Di nuovo ci si rivolge speranzosi a San Mario Draghi.
Merkel, prima di partire per Parigi dove avrebbe incontrato il presidente Hollande, ha spiegato ieri ai parlamentari, in una «dichiarazione del governo», la linea che terrà al vertice europeo di giovedì. Ha detto che, pur «condividendo» l'intento di approfondire l'unione politica espresso nel documento redatto dai quattro maggiori dignitari europei (il presidente della commissione José Manuel Barroso, il presidente del consiglio Hermann van Rompuy, il presidente dell'eurogruppo Jean-Claude Juncker, e il presidente della Bce Mario Draghi), quel testo non le piace, laddove prevede sia eurobonds, sia un fondo di ammortamento comune per i debiti nazionali che superino il 60 per cento del Pil.
In quel testo, insiste Merkel, «si parla troppo di condivisione dei rischi sul debito, e troppo poco di controlli rafforzati e di riforme strutturali per migliorare la competitività». E per questo la cancelliera si attende «discussioni controverse» a Bruxelles.
Gia martedì sera, intervenendo a una riunione del gruppo parlamentare liberale, aveva detto: «Con me mai eurobonds, finché vivrò». Ieri, forse per scaramanzia (mezza Europa potrebbe augurarsi una riduzione delle aspettative di vita della cancelliera), non ha ripetuto il «finché vivrò». Il «mai» resta.
Più della metà del parlamento ha applaudito a lungo e freneticamente, perché l'unione democristiana tra Cdu-Csu e i liberali della Fdp hanno una larga maggioranza al Bundestag. Ma nei sondaggi il fronte di centro-destra da tempo non supera più il 40 per cento. Il controllo del Bundesrat è perso. Insomma Merkel e «la Germania», che pure i media tendono a identificare come se fossero un binomio indissolubile, non sono più la stessa cosa.
L'opposizione non ne può più dell'unilateralismo della cancelliera sul «rigore». Sia i socialdemocratici che i verdi si sono vantati nel dibattito di aver almeno ottenuto, come contropartita all'approvazione del Fiskalpakt, il «patto per la crescita» di 130 miliardi, che sarà ufficialmente presentato a Bruxelles. Ma lì di soldi nuovi ci saranno solo 10 miliardi per un aumento del capitale della Banca europea per gli investimenti. Troppo poco per contrastare la minaccia di recessione.