Al termine dell'incontro romano di venerdì con Angela Merkel, François Hollande e Mariano Rajoy, Mario Monti ha parlato di 130 miliardi di euro come volume del pacco-dono «per la crescita», che dovrebbe essere confezionato con tanto di nastri e fiocchi al vertice di Bruxelles del 28-29 giugno. Cosa ci sarà nel pacco? E come si arriva al totale di 130 miliardi?
L'impressione è che di miliardi nuovi ce ne siano solo 10, importo per cui gli stati dovrebbero aumentare il capitale della Banca europea degli investimenti, mentre il resto verrà o da effetti di trascinamento di questo primo impulso, o dalla ridestinazione di somme già stanziate nei bilanci europei, alle voci «sviluppo strutturale» o «fondo sociale». Parlare di risorse aggiuntive è davvero arduo.
L'artificio pubblicitario è lo stesso che ha spinto il ministro Passera a sparare la somma di 80 miliardi per il suo «decreto sviluppo». Il segretario del Pdl Angelino Alfano, dicendo finalmente una cosa sensata, faceva notare che c'era «solo 1 miliardo reale, mentre gli altri 79 sono virtuali». Se si monta a neve la chiara d'uovo, il peso dell'albume non cambia, ma il volume può crescere assai.
Di «patto per la crescita» si parla da mesi. Circolano tra Bruxelles e le capitali europee diversi documenti preparatori. Da Parigi una settimana fa era rimbalzata una versione francese, ripresa in Germania dalla Süddeutsche Zeitung, per un totale di 120 miliardi. Di questa cifra sembra si sia parlato anche a Berlino, tra il governo Merkel e la Spd, nei negoziati per convincere l'opposizione a ratificare il Fiskalpakt (la cancelliera ha bisogno di una maggioranza «costituzionale» dei due terzi). Non sappiamo come, da questa base di partenza, a Roma si sia arrivati a 130 miliardi, forse battendo ancora la chiara d'uovo. Possiamo però rendere conto di come finora si arrivava a 120 miliardi.
L'aumento di capitale per la banca europea degli investimenti costerà agli stati 10 miliardi. Se saranno ripartiti secondo la stessa chiave con cui si calcolano le quote di capitale nella Bce, misurate sul peso dei diversi paesi in termini di popolazione e di Pil, la Germania dovrà metterci 1,9 miliardi, l'Italia 1,2 eccetera. A Parigi però calcolano che, in seguito all'aumento delle riserve depositate, la Banca europea per gli investimenti potrà concedere crediti aggiuntivi per 60 miliardi, e notano questa somma tra i fattori da addizionare. Altri 55 miliardi verrebbero da fondi europei non utilizzati dagli stati membri. Questi fondi vengono concessi solo se gli stati mettono nei progetti una loro quota: se non hanno soldi - o se non hanno idee - i contributi di Bruxelles non arrivano, e gli stanziamenti dovrebbero ritornare agli stati. Non sparirebbero, e potrebbero essere messi a profitto su base nazionale, ma ciò andrebbe proporzionalmente a vantaggio dei contribuenti maggiori come la Germania. Dunque ben venga l'idea di rimettere queste risorse a disposizione dei paesi più deboli, come Grecia e Portogallo, o più colpiti dalla disoccupazione giovanile, vedi Spagna e Italia. Ma non spacciamoli per soldi nuovi.
Nel piano di Hollande altri 4,5 miliardi dovrebbero venire da «bond di progetto», obbligazioni - coperte da comuni garanzie europee - con cui raccogliere capitali privati per «contribuire» a piani di investimento delle società per telecomunicazioni (reti telematiche veloci) o per l'energia (nuovi elettrodotti). Questa è l'idea più innovativa, un minisurrogato degli eurobond rifiutati da Berlino. Ma per sapere l'esatto dosaggio delle meringhe di Bruxelles, bisognerà aspettare la fine del mese.