PRIMA

Spezzare l'incantesimo

EUROPA
TARIZZO DAVIDE,

La storia non si fa con i "se". L'economia invece ci incanta ogni giorno con i suoi "se". Esempio: se usciamo dall'euro, sarà una catastrofe senza ritorno. La storia, per fortuna, è un'altra cosa. Prendiamo la Svezia. Anche lì un cataclisma fu annunciato quando un referendum bocciò l'adozione dell'euro. L'economia svedese, alla fine, se l'è cavata non male. Ovvio, uscire non è come rifiutarsi di entrare. Ma il tenore delle minacce era esattamente lo stesso e ci sarebbe di che raffreddare, con questo piccolo esempio, i nostri timori. Eppure le profezie dei potenti sacerdoti di rito neoliberale sono capaci di spazzare via ogni senso storico, per non dire ogni senso - punto. Si parla di «salvare l'Europa». Ma che vuol dire? Quale Europa si vuole salvare? L'Europa dell'euro? La fine dell'euro sarà o sarebbe allora la fine dell'Europa? Al di là dei rituali scaramantici della nuova casta sacerdotale, conditi da incensi e formule magiche, si va diffondendo la sensazione che l'evento, il temuto decesso, si stia avvicinando. È decisione che i cosiddetti «mercati» paiono aver preso da tempo. Ma poniamo che pure si tratti di una semplice possibilità. Ci è di qualche aiuto continuare a definirla catastrofe? O cosa può esserci davvero di aiuto?
In primo luogo, riflettere sul significato dell'espressione «Europa politica». Mettiamo che si realizzasse quella «cessione di sovranità» da molti ventilata come uscita politica dall'attuale crisi dell'eurozona. E mettiamo che il governo economico dei paesi-euro venisse posto nelle mani di un superministro europeo. Sarebbe raggiunta in tal modo l'Europa politica? È questo che si intende per Europa politica? Chi assumerebbe il comando della nave europea? Chi se non un tedesco (o qualcuno che «parli» tedesco)? E quale coesione politica regnerebbe a quel punto nei paesi dell'eurozona? Perché questa ennesima verticalizzazione istituzionale dovrebbe produrre una unificazione politica? Di sicuro, non produrrebbe una democratizzazione dello spazio politico europeo. I greci, o noi italiani, o gli spagnoli, avrebbero qualche voce in capitolo nel governo della cosa pubblica europea? Oppure ci troveremmo in una situazione di minorità politica e di protettorato economico esercitato dalla Germania?
Ed eccolo, il gran sacerdote, pronto subito a replicare: solo con questa «Europa politica», figliolo, noi conteremo sul piano internazionale. Ma noi chi? E conteremo per fare che cosa? Non si può dire che in questi anni l'Europa abbia brillato sul piano della politica internazionale. Non si vede come e perché dovrebbe brillare in futuro. Certo, l'Europa conterebbe di più sul piano degli equilibri economici mondiali. Ma non sarebbe l'Europa in sé a contare in tal caso. Sarebbe l'euro. E qui vale la pena porsi la domanda, a gran voce: quale progetto storico e politico, quale idea di civiltà e società dovrebbe tenere alta la bandiera di un'Europa politica ridefinita come Europa dell'euro? La bandiera, forse, delle conquiste sociali ottenute in Europa negli ultimi cento anni? La bandiera di un modello di civiltà e società ineguagliato nella storia del mondo? Purtroppo, proprio questo modello di civiltà e società è quello che stanno spazzando via a tutta velocità i promotori della cosiddetta «Europa politica». Eliminato questo modello, cosa ci rimarrà in mano?
In secondo luogo, sarebbe d'aiuto riflettere su come limitare i danni nel caso, malaugurato quanto si vuole ma pur sempre possibile, di una fine dell'euro. Il rischio in alcuni paesi, incluso il nostro, potrebbe essere qualche forma di regressione autoritaristica. Non lo si sta dicendo abbastanza: uscire dall'euro, al momento, significa uscire dall'Unione Europea. E quest'ultima, non lo si dice abbastanza, in tutti questi anni non è stata solo una moneta unica. E' stata tante altre cose, incluso una briglia. Una briglia che ha arginato, qua e là, derive politiche di stampo anti-democratico. Se non si vuole pensare all'Italia, si pensi all'Ungheria. Cosa potrebbe accadere da quelle parti se l'Unione Europea, con la fine dell'euro, dovesse disintegrarsi o indebolirsi a tal punto da non poter più esercitare nessuna funzione di censura e controllo?
Limitare i danni di una eventuale fine dell'euro significa quindi cominciare a immaginare una Unione Europea senza euro che possa continuare a svolgere alcune delle sue restanti funzioni. Significa preparare questa opzione, negoziarla: sin d'ora - come piano B, per carità, ma come piano B di cui si inizi a discutere. Il terrore dei cosiddetti «mercati» non può, non deve chiudere tutti gli spazi di elaborazione politica. Questa sì che potrebbe essere una vera catastrofe. La Destra, da noi, è già pronta a sfruttare il vento dell'uragano. Lo possiamo ancora evitare se solo spezziamo l'incantesimo che ci vieta di pensare a un'Europa senza moneta unica. L'Unione Europea esisteva prima dell'euro. Dovrà esistere anche dopo.
* Università di Salerno

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it