Cari amici del Manifesto,
qualcuno poteva dubitare che non avrei aderito al vostro appello? Il mio piccolo contributo non poteva mancare. Per una ragione generale e, anche, per una più personale. In quanto alla prima, se si spegne una voce dell'informazione, soprattutto se si tratta di una voce fuori dal coro, che offre ogni giorno in ogni pagina visioni ed interpretazioni non scontate, beh non è solo il panorama editoriale a rattrappirsi è la stessa democrazia a svegliarsi più povera. Lamentiamo, giustamente, il predominio del "pensiero unico" di stampo neoliberista e, dunque, un favore così grosso, consentendo la chiusura del "manifesto", non dobbiamo farglielo. Oggi poi che va tanto di moda la sobrietà qualcuno (e comunque lo faccio io volentieri) dovrebbe ricordare il carattere costantemente misurato del "manifesto", quell'avversione figlia di una cultura insieme popolare e raffinata per l'eccesso e la sguaiataggine.
In quanto alla seconda, c'è un po' di nostalgia per i tempi in cui muoveva i primi passi la vostra avventura editoriale ed io ero giovane dirigente sindacale. Rammento l'attenzione e l'intelligente curiosità che dedicavate al sindacato intero e non solo alla componente comunista: da uomo della Cisl sono stato spesso chiamato a dire la mia sulle vostre pagine e benché "sindacalista bianco", cioè democristiano, mai ho avvertito - e con me la Cisl - pregiudizio e animosità ma sempre voglia di ragionare e confrontarsi il che non escludeva toni forti, ma questo è il bello della democrazia quando c'è rispetto e desiderio di capire.
La vostra voce serve. Per quanto possa sembrare affermazione elementare, le cose stanno proprio così. E dunque potevo mancare?