VISIONI

Liebman e Eskelin, gioco d'ensemble per sax tenore

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LORRAI MARCELLO,NOVARA

Che cosa aspettarsi da due sax tenori come unici fiati di un piccolo gruppo di jazz? Fino ad un mezzo secolo fa non ci sarebbe stato da sbagliarsi di molto: di chase nel jazz se ne sono visti di ogni genere, anche tra sfidanti diversi fra loro per categoria come per esempio tromba e piano, però in fatto di duelli nient'altro ha avuto la fortuna di quello ad armi pari con uno strumento «maschio» come il sax tenore. Ma la compresenza in quartetto dei sax tenori di Dave Liebman e Ellery Eskelin certo non punta allo spirito delle omeriche tenzoni di Wardell Gray/Dexter Gordon, Sonny Stitt/Gene Ammons, Zoot Sims/Al Cohn, Johnny Griffin/Eddie «Lockjaw» Davis: benché Eskelin abbia in Ammons uno dei suoi fari, e benché al contrabbasso ci sia Tony Marino, da anni collaboratore di Liebman, che nel suo curriculum ha però anche Sims e Cohn (i protagonisti delle più cavalleresche e complici di quelle giostre, i più lontani dagli aspetti più muscolari). Grande padronanza tecnica, con Liebman e Eskelin, ma nessuna ostentazione di destrezza.
Impostosi all'attenzione nella prima metà dei settanta accanto a John McLaughlin, a Elvin Jones e, in incisioni epocali, al Miles Davis elettrico, poi fra tante esperienze componente del fortunato gruppo Quest, Liebman è un sassofonista che declina autorevolemente una matrice coltraniana, e rimane in assoluto uno dei più forti sopranisti in circolazione: potrebbe vivere elegantemente di rendita. Invece, sessantacinquenne, solidarizza per esempio con Eskelin, che, di un quindici anni più giovane, ha studiato con lui negli ottanta, il periodo in cui cominciava a farsi notare come uno dei più interessanti esponenti del jazz bianco di ricerca newyorkese. E, come si è visto in uno degli appuntamenti di Novara Jazz Winter, la musica che propongono, con alla batteria Jim Black, non va certo nel senso delle formule jazzistiche più convenzionali. Invece che dalla ruvida emulazione fra sax tenori, qui l'intensità è data dal concorso attento alla creazione di un clima. Quando suonano contemporaneamente, Liebman e Eskelin lo fanno per proporre una riflessione melodica, generalmente su un tempo non veloce, piuttosto severa, meditativa. La loro estrema attenzione all'articolazione del suono è esaltata dalla propensione a lasciar respirare la musica, a dare spazio agli elementi messi in gioco, facendo tesoro della lezione di certe pagine del free e post-free. All'opposto di una logica individualistica, solisticamente non sentono nemmeno il bisogno di differenziarsi più di tanto, puntando piuttosto ad un effetto d'insieme: Liebman qui è forse più spigoloso, sghembo, Eskelin ha qualcosa di più onirico.
Marino, col suo background di chitarrista, ha una forte inclinazione alla melodia e anche al riff, e un bel suono rotondo. Black difficilmente potrebbe essere definito un accompagnatore: è un solista, che col suo procedere estroso, non addomesticato, contribuisce all'interplay con un proprio pensiero, si rapporta con gli altri con una sorta di oggettiva, non compiaciuta, e pertinente, impertinenza. Un brano è intitolato alla compianta cantante Dimi Mint Abba. E un altro è costruito da Liebman su un motivo ricavato dal Quatuor pour la fin du Temps: l'interesse di Liebman è proprio per il motivo in quanto tale, e il pezzo che ne risulta, senza niente a che vedere con la sublime atmosfera, col senso di sospensione del capolavoro di Messiaen, è, paradossalmente, uno dei più «jazzistici» del set.

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