VISIONI

Lo schermo strappato, cronaca di una strage

DOCUMENTARI - «Il sale della capra» dei tre giovani filmaker Fabrizio Dividi, Marta Evangelisti e Antonio Grieco, ricostruisce la tragedia al cinema Statuto di Torino
DEL SETTE LUCIANO,TORINO

«Acido cianidrico, lo stesso che gli Stati uniti usano per le condanne a morte nelle camere a gas». Il professor Luigi Costa, esperto di chimica industriale, guarda il piano della sua scrivania, mentre parla con il tono pacato dell'uomo di scienza che, comunque, non riesce a dimenticare. «Ne ho viste tante nella mia carriera: terremoti, alluvioni, incendi...». Ma di quel giorno, Agostino Tortoreti, capo della squadra dei vigili del fuoco, il primo ad aver oltrepassato l'ingresso, conserva un ricordo indelebile. «Erano caduti l'uno sull'altro, come mosche, a pochi metri dalla salvezza». Parole di Diego Novelli, allora sindaco della città, a trent'anni di distanza malcontati da quel giorno.
Quel giorno era il 13 febbraio 1983, una domenica di inverno segnata da una neve leggera, una domenica di carnevale. Al cinema Statuto, seconda visione, quartiere semicentrale di Torino, si proiettava il film La capra, protagonista un giovanissimo e filiforme Gerard Depardieu, che dopo aver sbancato i botteghini francesi stava conoscendo identica fortuna in Italia. A Torino lo aveva portato Lorenzo Ventavoli, gestore di tante sale cinematografiche della città e responsabile della programmazione per lo Statuto. La sala, il pomeriggio del 13 febbraio, è piena. Ad affollarla sono soprattutto ragazzi, molte le coppiette che approfittano del buio per scambiarsi effusioni. Un corto circuito a livello della platea manda in combustione la moquette e i tendaggi. Niente fiamme. Solo fumo, di cui nessuno, nel buio, si accorge subito; fumo che cresce, sviluppando acido cianidrico; fumo che soffoca, stordisce, provoca svenimenti fatali. Quando il panico si diffonde, la corsa verso la salvezza diviene tragedia. Non si sa dove scappare, le uscite di sicurezza di allora sono inadeguate; i bagni ciechi, oppure areati da finestre chiuse da grate. Molti riescono a raggiungere l'ingresso del cinema. Sessantaquattro vite si fermano, trentadue ragazze e trentadue ragazzi, assurdo conto di parità. Li troveranno ammassati, seduti sulle poltrone, distesi lungo i corridoi. Tutti con le facce annerite.
La tragedia del cinema Statuto, negli anni di una Torino che stava appena uscendo dalla stagione del terrorismo, precipita la città in un nuovo incubo, la avvolge in una colpa collettiva, la precipita in un altro buio. Saranno ottantamila le persone a partecipare ai funerali delle vittime. Lo Statuto diverrà per lunghi anni, e prima della sua trasformazione in altra attività, una sorta di santuario dell'orrore: porte chiuse, i segni del fumo a sbavarne la facciata, la locandina decolorata de La capra dietro le bacheche affacciate sul marciapiede, mazzi di fiori rinsecchiti e altri, freschi, a sostituirli. La città esoterica, per breve tempo, si sbizzarrirà in congetture sataniche: la capra simbolo del diavolo e della sfortuna, piazza Statuto fulcro della magia nera, la ripartizione esatta dei morti come disegno di un'entità superiore... Poi tutto scivolerà nell'oblio. Tre giovani filmaker torinesi, Fabrizio Dividi, Marta Evangelisti e Antonio Grieco, hanno voluto strappare il sipario della dimenticanza, realizzando un documentario di sessanta minuti, Il sale della capra, che verrà presentato in anteprima oggi a Torino, alle 22, al cinema Romano (sold out) e in replica il 9 marzo al Cineporto, via Cagliari 42, alle 17. I tre avevano già vinto il premio come miglior cortometraggio con Linda, denuncia delle violenze domestiche subite dalle donne, all'interno della rassegna Piemonte Movie: la stessa rassegna che, quest'anno, si è fatta promotrice e ospite del loro nuovo lavoro. Il titolo prende spunto da una serie di annunci pubblicitari che Lorenzo Ventavoli fece comparire sui quotidiani torinesi allo scopo di attrarre spettatori per il film. Tra questi, uno recitava «Il sale della capra». Solida e asciutta, la base su cui poggia il filo della narrazione. A raccontare l'ecatombe dello Statuto vengono chiamati, oltre a Diego Novelli e al capo dei vigili del fuoco, Ventavoli stesso; il giornalista Rai Bruno Geraci, che seguì l'evento; Francesco Gianfrotta, giudice del processo di Primo Grado; Giancarlo Caselli, il magistrato che il processo lo istruì; Gianni Rondolino, storico del cinema; Sergio Cabodi, presidente dell'Associazione Vittime dello Statuto.
Le interviste, sipari della memoria, si aprono e si chiudono sulla narrazione dei fatti. E i fatti vengono restituiti allo spettatore attraverso filmati ormai sbiaditi, fotografie in bianco e nero, dettagli di verbali che elencano dove e come i morti sono stati trovati. In ogni immagine, il denominatore comune è lo sgomento. Diego Novelli si passa una mano sul viso, come se volesse cancellare tanto orrore. Un vigile del fuoco ha gli occhi e la bocca spalancati mentre sorregge tra le braccia un corpo senza vita. Sandro Pertini, in prima fila ai funerali, mormora, con voce rotta, il suo dolore, maledice la sorte di un presidente che ha dovuto assistere a tanti lutti. Poi il silenzio della folla, all'uscita delle bare dalla chiesa. Un silenzio, intriso di dolore collettivo. Nella miglior tradizione del documentario che attinge dalla cronaca, per riportare alla luce ciò che un pericoloso corno d'ombra stava invadendo, Il sale della capra non bada all'estetica. La sua forza poggia soltanto sui fatti. E i fatti di cronaca, sovente, sfuggono per loro natura all'estetica. Tanto più quando parlano per immagini.

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