CULTURA

Il bene comune delle biblioteche

EX PRESS
CARBONE MARIA TERESA,

Sembra che ci siano state lacrime di gioia l'altro giorno per la sentenza con la quale il giudice britannico McKenna ha annullato i tagli alle biblioteche del Somerset e del Gloucestershire, oltre tutto dichiarando inappellabile la sua decisione. Ma come sorprendersi per queste poco anglosassoni «espressioni di emotività» (così le ha definite la newsletter del periodico specializzato «The Bookseller») di fronte alla conclusione positiva - e tuttavia niente affatto scontata - di una battaglia che aveva visto impegnarsi per mesi i cittadini delle due aree interessate? Anche perché la sentenza di McKenna farà scuola nel Regno Unito (e, ci si augura, pure fuori), dal momento che il giudice ha detto chiaramente che i tagli deliberati dai due consigli (chiusura di un terzo circa delle biblioteche in entrambi i casi, con una sostanziale o totale eliminazione del servizio mobile) cozzavano contro i «doveri di uguaglianza» di cui i pubblici rappresentanti devono tenere conto in primo luogo. «Oltre che per la lettura, le persone hanno bisogno delle biblioteche come sostegno per l'accesso a tutte quelle informazioni necessarie per vivere pienamente la loro vita», ha dichiarato Annie Mauger, del Cilip, l'associazione che riunisce i bibliotecari, concludendo che «questa sentenza riconosce che le comunità hanno bisogno delle biblioteche».
Prima di cominciare a recensire (sul «New Yorker») l'ultimo libro di Don DeLillo, una raccolta di racconti intitolata The Angel Esmeralda, Martin Amis fa una lunga premessa, che comincia così: «Quando affermiamo di amare l'opera di un autore, stiamo sempre stiracchiando la realtà - quello che in effetti vogliamo dire è che ne amiamo circa la metà, a volte un po' di più, a volte parecchio meno». E qui Amis parte con gli esempi: Joyce si poggia quasi per intero su Ulisse («con un piccolo aiuto di Gente di Dublino»), meglio non parlare dei tre tentativi di Kafka di scrivere un romanzo («non finiti da lui, non finiti da noi»), George Eliot «ci ha dato un solo libro leggibile che guarda caso è il romanzo-cardine di lingua inglese», «ogni pagina di Dickens contiene un paragrafo che ci esalta e uno che ci respinge». Perfino Shakespeare e Proust secondo l'autore di Territori londinesi non reggono nella loro totalità, le uniche eccezioni alla regola essendo Omero e Harper Lee (quest'ultima perché saggiamente ha scritto un romanzo, Il buio oltre la siepe, e poi non ha più prodotto, almeno che si sappia, una sola riga). Una premessa che non sembra promettere niente di buono per la valutazione di questi racconti di DeLillo. E invece - amante come sempre delle sorprese - Amis, che aveva esordito con un perentorio «Amo l'opera di Don DeLillo» (subito attenuato dall'elenco puntiglioso di quello che effettivamente gli piace, sì a Rumore bianco e Libra, no a La stella di Ratner e I nomi), chiude con «Io amo The Angel Esmeralda». E per questa volta DeLillo può tirare un sospiro di sollievo.

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