«Frazier era diventato il pugile dell'uomo bianco, Charley tifava per Frazier, e questo significava che in cuor loro i neri lo boicottavano. Poteva essere veleno per il suo morale, perché Frazier era nero il doppio di Clay, e quasi bello quanto lui». È il 19 marzo del 1971 e Norman Mailer consegna alle cronache, precisamente per le pagine del settimanale Life, la sua roboante visione dell'incontro del secolo, così è passato alla storia, al Madison Square Garden di New York. Il lungo articolo fu titolato Ego e uscì appena 11 giorni dopo la prima sconfitta sul ring di Muhammad Ali: Joe Frazier lo aveva messo al tappeto dopo 15 estenuanti round.
La sfida tra i due, con le successive rivincite per il titolo dei pesi massimi - 28 gennaio 1974 ancora a New York e 1 ottobre 1975 nelle Filippine per la battaglia finale, «Thrilla in Manila» - è stata sempre sanguinosa, sul ring e a parole. Ali uscì vittorioso dagli ultimi due incontri, ma sfinito. Ferdie Pacheco, il suo inseparabile uomo dell'angolo, si era già convinto che corresse il serio pericolo di subire danni cerebrali se non si fosse ritirato.
Come aveva già fatto con Floyd Patterson, Ali aveva individuato in Frazier «lo zio Tom», uno schiavo dei bianchi, un gorilla ignorante, incapace di parlare. Lottava per i diritti degli afro-americani e non poteva tollerare che i suoi fratelli non si buttassero nella stessa battaglia con identica coscienza e veemenza finendo per addomesticare la nobile arte. Così a microfoni aperti inveiva prima di ogni match. «Proprio lui, che non ha mai visto un ghetto», gli rispose Frazier una volta.
La trilogia della boxe ha continuato a infiammare gli animi anche con i due protagonisti ormai anziani e malati. Un'eco si è sentita nel giugno 2001, le due figlie d'arte, Jacqui Frazier e Laila Ali, incrociavano i guantoni e la rivalità dei padri fu tirata in ballo, ma più per dare colore all'impresa che per riaprire antiche ferite. È quando esce il libro Ghosts of Manila che la questione rimbalza nel nuovo secolo spaccando l'America ancora a metà. L'anno è il 2001 e l'autore Mark Kram, ex inviato di Sport illustrated negli anni Sessanta, con un'operazione di revisionismo storico (per sua deliberata ammissione) rovescia il mito di Ali a partire proprio dal match nelle Filippine. «Altro che eroe, Clay era un burattino. Fu manipolato dai Musulmani neri», «Un giovane ignorante, facile da manipolare, senza una coscienza civile», è la tesi su cui si basano tutte le 230 pagine del testo. Frazier ne esce da campione, Ali alle corde. Ma ora spetta a lui la parola definitiva su quegli anni: «Ricorderò sempre Joe con rispetto e ammirazione», ha detto appena due giorni fa sul rivale di una vita..