Nel bis - Too Sweet, firmato da Taylor Ho Bynum - il batterista Tomas Fujiwara infila un paio di citazioni, rapide ma a cui è impossibile non fare caso, dalle classiche composizioni in solo architettate da Max Roach: e tutto il brano ha un che di jazz d'avanguardia post-free. Però The Thirteenth Assembly non è un gruppo classificabile come «di jazz» o di improvvisazione. Di improvvisazione, in effetti, in quello che il quartetto propone al Teatro delle Maddalene - nell'ambito di «Ostinati!», rassegna organizzata dal Centro d'arte degli studenti dell'Università di Padova - non ce n'è moltissima, ed è ipotizzabile in una certa misura in alcuni spazi solistici, che non danno comunque l'idea di essere più di tanto a briglia sciolta: nell'insieme i pezzi del quartetto appaiono abbondantemente scritti, preordinati con precisione, suonati con gli occhi concentrati sulla partitura.
Non che Fujiwara, Bynum, cornetta, Jessica Pavone, viola, Mary Halvorson, chitarra, manchino di cultura improvvisativa, tutt'altro: le loro frequentazioni nell'ambito del jazz di ricerca sono di prim'ordine, e se c'è un denominatore comune che spicca nei loro curriculum è per esempio che tutti e quattro hanno esperienze di collaborazione con Anthony Braxton.
Nato nella seconda metà dello scorso decennio, The Thirteenth Assembly sembra corrispondere al desiderio dei quattro giovani musicisti di ritagliarsi un ambito in cui sviluppare in maniera eclettica e in una dimensione paritaria, tenendo a freno l'ego, le possibilità offerte da un organico inusuale e la confidenza maturata in un intenso interscambio in diversi contesti. I brani sono come dei bozzetti, brevi e spesso improntati ad una certa rarefazione, ciascuno con un suo carattere particolare. Dentro, vuoi un ritmo jazz-rock vuoi un'eco di musica antica, un solo di Bynum che potrebbe essere uscito da una pagina di musica classico-contemporanea del Novecento o invece un'atmosfera da pop-song, un profumo di folk o un incedere sghembo da rock progressivo di scuola canterburiana. Bynum non suona qui praticamente mai in maniera aperta. Il suo è più spesso un rimuginare, intriso di effetti di sordina, soffi, sibili, borborigmi: linguaggio molto informale, allo stesso tempo estremo e pacato, lucido, in cui non sembra di leggere ironia - non esibita, almeno - piuttosto una sorta di disincanto. Gustosissimo, nella sua stravagante icasticità, tanto in certi riff che in momenti in cui emerge solisticamente, il ruolo di Halvorson. Un po' enigmatici, i pezzi si sottraggono ad una facile definizione, e sembrano parlare di una realtà frammentata e sfuggente.
La coerenza, il collante dell'estetica di The Thirteenth Assembly, sembra risiedere soprattutto nell'assenza di abbandono, nel forte controllo, in un approccio un po' cerebrale. Il materiale, nel quale i quattro si alternano come autori, è quello del loro nuovo album, Station Direct, appena pubblicato dall'etichetta Important Records. Ma per chi voglia apprezzare il lavoro di questi musicisti che - fra i trenta e i trentacinque anni - sono tra le figure più rappresentative di una generazione di musicisti americani che sperimenta con grande ampiezza di orizzonti, c'è solo l'imbarazzo della scelta.
Per stare ad uscite recenti, Bynum e Halvorson si possono ascoltare nel formidabile Quartet (Mestre) 2008, live di Anthony Braxton (pubblicato dall'italiana Caligola Records); Halvorson e Fujiwara partecipano al Taylor Ho Bynum Sextet di Apparent Distance (Firehouse Records); Halvorson è nel quintetto guidato da Fujiwara in Actionspeak (482 Music); mentre Halvorson e Pavone spiccano in Thin Air (Thirsty Ear). Un attivismo discografico che è lo specchio di una scena di musicisti creativi e intraprendenti, che - ecco uno dei segreti della qualità della loro musica - suonano molto e fanno comunità.
Prossimo appuntamento di Ostinati! stasera, con Mauger, trio che accosta una rodatissima ritmica d'eccellenza, Mark Dresser al contrabbasso e Gerry Hemingway alla batteria, al sax alto di uno dei musicisti più in vista degli ultimi anni, l'americano di origine indiana Rudresh Mahanthappa.