LA GIORNATA

Un'Europa asimmetrica e feroce

PICCIONI FRANCESCO,

«Euro, la fine di un tabù», così titolava ieri mattina un importante giornale online (Lettera 43), dando visibilità a una domanda esclusa dal «un circuito mediatico da Minculpop». I primi a chiedersi se questo gioco vale la candela sono ovviamente sia parecchi protagonisti del movimento del 15 ottobre, sia diversi economisti «non liberisti». La crisi sta cambiando le gerarchie del pianeta, visto che colpisce «asimmetricamente e con maggiore forza Europa e Stati uniti». Ma la stessa asimmetria implica «verso l'alto una gerarchizzazione brutale dei poteri decisionali» e verso i popoli un «attacco complessivo alle conquiste sociali e ai diritti acquisiti» (Mauro Casadio, Rete dei comunisti). Tema ripreso con forza da Giorgio Cremaschi, presidente del Comitato centrale della Fiom, che sottolinea la contraddizione assoluta, in questa fase, tra «salvataggio del sistema finanziario e democrazia»; con la «sovranità popolare» spogliata della possibilità di decidere sulla politica economica e quindi sulla redistribuzione della ricchezza.
La possibile rottura dell'eurozona, con «espulsioni» di singoli paesi, è ormai un problema concreto; ma con due punti di vista opposti («buttafuori» ed espulsi). E gli effetti sui redditi sarebbero abbastanza simili a quelli derivanti dalle «riforme» imposte dalla «troika» (Fmi, Ue, Bce). Agli economisti il compito di tratteggiare i problemi, le vie d'uscita possibili, comunque traumatiche. Per Luciano Vasapollo e Joaquin Arriola può valere l'esempio dell'Alba (l'accordo economico tra i paesi dell'america Latina), e quindi si può pensare a una fuoriuscita contrattata e contemporanea di tutti i Piigs dall'euro, per dar vita magari a un'altra moneta, più rispondente alle loro caratteristiche che non a quelle della Germania regina dell'export europeo.
Emiliano Brancaccio vede «nella logica delle cose» che «se salta la moneta unica salta anche il mercato unico». Un fatto che dovrebbe far riflettere «il movimento operaio», ovvero quel che resta del sindacato. «L'eventuali distruzione della zona euro, se implicasse soltanto una svalutazione dei paesi periferici, produrrebbe un effetto amplificato analogo a quello del 1992; ossia uno spostamento distributivo terrificante ai danni dei lavoratori», perché «si pretenderebbe un rigido controllo e abbattimento dei salari per compensare la svalutazione». In termini quantitativi, sono cifre da paura. «Quando vi fu la svalutazione della lira - settembre '92 - la perdita salariale fu complessivamente nell'ordine del 30%, le retribuzioni dei soggetti contrattualmente più deboli crollarono, per il sindacato fu una tragedia. Stavolta sarebbe molto peggio. Si immagina una svalutazione come minimo del 30%; per il sindacato sarebbe la sua distruzione». Bisogna quindi «immaginare un'altra prospettiva». Se «dovessero buttarci fuori dall'euro, bisognerà introdurre limiti alla libera circolazione dei capitali ed eventualmente anche delle merci; una necessità oggettiva, ma anche una strada per dare respiro ai lavoratori». Ma tutto dipende molto anche dalla Francia, «che storicamente ha fatto da argine alla 'restrittiva' Germania, ma che intanto costruiva 'assi' con i paesi periferici». Un ruolo che Sarkozy non gioca più.

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it