ITALIA

La mite acampada che rivoluziona le belle piazze inutili

TRIESTE
LONGO FRANCESCA,TRIESTE

Tutto nasce per caso nella Necropoli più italiana d'Italia, Trieste. La polizia sgombera le scuole occupate. Per alcuni versi un'opera di bene visto che, con l'inizio della stagione delle piogge e con la bora, nessuno può garantire l'incolumità dei ragazzi in istituti decrepiti. L'anno scorso sono crollati parecchi soffitti, altri attendono pazientemente di cedere. Così i ragazzi si trasferiscono in piazza Unità d'Italia, la più grande piazza sul mare d'Europa, ora diventata la «più grandissima» in virtù di incredibili lavori d'ampliamento delle piazze adiacenti.
Un ragazzino sui sedici anni si porta da casa la tenda per installarsi davanti alla Prefettura. Tutto nasce così, una decina di giorni fa. La minitendopoli cresce e «Occupy Trieste» raccoglie un discreto numero di persone, più di trecento, dai sedici ai ventisei anni, disposte a dormire al freddo pur di continuare a parlare. E magari anche fare.
Nelle assemblee si discute di «banalità»: una perizia edile delle scuole, il rispetto della carta dei diritti del cittadino in formazione (magari al sapere con accesso ad ogni fonte, diritto a trasporti pubblici, ad affitti per universitari abbordabili, una nuova legge regionale sul diritto allo studio). Sgomitano col centro sociale autogestito, ma poi tornano a contenersi chiedendo un impegno per «l'accesso garantito in base al reddito e alla condizione sociale a spazi abitativi esistenti per una giusta assegnazione degli stessi». Chiedono un censimento delle case sfitte e l'impegno per garantire tutti i servizi necessari ad una vita dignitosa. Ossia la possibilità di avere acqua, luce e gas anche per chi non ha un reddito minimo, ossia che il Comune si faccia tramite con Acegas affinchè quest'inverno non vengano tagliati i servizi. E, incredibile, l'ottengono.
La merce di scambio è -mediatore il sindaco Roberto Cosolini, Pd- il trasferimento dell'accampamento in un'altra inutile piazza in modo da permettere al Comune di festeggiare coi bersaglieri in piazza Unità il 4 novembre. I ragazzi accettano. Travestiti da clown accompagnano le prove della parata e tutto finisce lì, ieri come l'altro ieri. Intanto la promessa c'è. Loro hanno rispettato gli impegni presi.
Ma il meglio lo esprimono nella minitendopoli. Non hanno leader. L'assemblea è sovrana e si riporta quanto deciso tutti assieme. Non hanno riferimenti a partiti. Gli anziani (gli universitari di 24 o 26 anni) li hanno avvertiti, forti delle esperienze degli anni precedenti, di diffidare di tutti. E lo dicono a chiare lettere «non ti tutelano, ti manipolano». Così, nel caso dovesse ripetersi un intervento delle forze dell'ordine (che giorni fa li ha portati via senza incontrare resistenza) o dovessero arrivare denunce, si stanno organizzando col «fai da te, meglio soli che male accompagnati». Nessuno rinuncia al proprio diritto di opinione o, nel caso dei maggiorenni, di voto.
In realtà parlano solo coi vecchi. Condividono con loro disagi, miseria, soprusi in un sottile filo logico (e psicanalitico) che unisce le fasce considerate deboli. E i vecchi approvano. Anche perché a sera la tendopoli è linda, la spazzatura differenziata, la città dorme, e i ragazzi fanno sparire ogni traccia. Eccetto le tende. «Perché questa città è di tutti, bisogna rispettare». I nonni sono un riferimento, i genitori, ne prendano atto, no. Falliti e basta.
Girano come corvi persone come me, ultracinquantenni bisognose di movimento. Sono le mamme e le prof, mai paghe delle loro sconfitte. O i politici locali. «Cerca di capirla- è l'atroce commento di un diciassettenne- in fondo è iscritta al Pd ed è la mamma di un nostro amico». In effetti sembriamo mosche. Ma loro non s'infastidiscono, parlano coi nonni e trovano solidarietà. Questi giovani ben educati piacciono. Tanta acqua minerale, qualche Lasko Pivo (birra), nessuna canna (almeno in pubblico). Causa maltempo lasceranno piazza della Borsa per occupare qualcosa di altrettanto inutile. Ma la lasceranno pulita. Perché, se qualcosa ha insegnato la generazione di «Fascisti, borghesi ancora pochi mesi», è l'educazione. Magari, con quella,oggi si può fare la rivoluzione.

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