Non si poteva mortificare più di tanto uno dei paesi fondatori della comunità europea, né il suo attuale presidente della repubblica, considerato nelle cancellerie europee l'ultima garanzia di stabilità dell'Italia. Dunque, il G20 di Cannes scrive per il governo Berlusconi un copione pirandelliano che tutti mandano a memoria, con differenza di accenti e con un silenzio-dissenso importante, quello tedesco.
A differenza di quanto avvenuto quest'estate con il diktat della Bce sulla manovra, il nostro premier oggi si commissaria da solo. Chiedendo al Fondo monetario internazionale (d'intesa con il Quirinale, sostiene) di controllare con ispettori inviati a Roma che l'Italia mantenga gli impegni presi con l'Europa, per ridurre il colossale debito che sta rischiando di incendiare quel che resta di Eurolandia. Questa versione viene riscaldata prima e dopo da alcuni dei partner europei, tranne che da due protagonisti principali: la cancelliera Angela Merkel e il presidente Napolitano. Entrambi rimasti in silenzio, la prima sulla presunta «richiesta» italiana, il secondo sulla presunta «condivisione» della richiesta.
Berlusconi naturalmente interpreta la parte a modo suo. In conferenza stampa, riduce il lavoro del Fondo monetario al ruolo di «una certificazione di bilancio di una società commerciale». Poi dice di aver concordato con Napolitano l'invito al Fondo a venire in Italia. Peccato che proprio questo sia l'unico argomento di cui il presidente della repubblica, parlando in serata a Bari, non toccherà. Né risultano note di conferma dal Quirinale di un passaggio così istituzionalmente delicato. Il presidente, che nei giorni del vertice risulta essersi tenuto in contatto con alcuni dei protagonisti a cominciare dal presidente della Commissione Ue, Juan Manuel Barroso, usa piuttosto altre parole: «Parliamoci chiaro, nei confronti dell'Italia è insorta in Europa, e non solo, una grave crisi di fiducia».
Gli ispettori del Fondo arriveranno entro la fine del mese (chissà se troveranno Berlusconi ancora al governo) per insediarsi comunque al Tesoro, non a palazzo Chigi, e di sicuro con un potere ben maggiore di quello di un certificatore della Deloitte. Ogni tre mesi, torneranno. Tremonti appare in linea con il suo presidente, almeno sul punto. L'aiuto del Fmi, spiega, «è stato pensato non tanto come aggiunta finanziaria ma come know how, come esperienza empirica, nuova. Vogliamo che il processo di riforma in atto sia così trasparente da essere controllato. È un ruolo addizionale del Fondo nel quale ha già molta esperienza. È utile e rende più chiaro l'impegno dell'Italia». Ci pensa Berlusconi a cambiare registro, dopo aver parlato della speculazione come «moda passeggera»: «Mi sembra che in Italia non si avverta una forte crisi. La vita in Italia è la vita di un paese benestante. I consumi non sono diminuiti, i ristoranti sono pieni, per gli aerei si riesce a fatica a prenotare un posto».
Prima della conferenza stampa della delegazione italiana, è Barroso a parlare per primo della «richiesta» di Roma di avere il Fondo in casa. Barroso lo dice un po' rudemente: «Bisogna essere oggettivi: ci sono dubbi nei mercati» sulla capacità dell'Italia di attuare le misure promesse all'Ue, un «fatto oggettivo ed è questo il motivo per cui l'Italia attuerà tutte le misure». «Non abbiamo messo l'Italia nell'angolo, non è un diktat», recita con più tatto il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy riferendosi al monitoraggio del Fmi. Plaude, ma sembra che sfotta, il padrone di casa, il presidente francese Nicolas Sarkozy: «L'Italia, che è un paese essenziale della zona euro, uno dei paesi principali, ha lodevolmente preso la decisione di fare appello alla Commissione Ue e al Fmi per certificare i risultati che avrà raggiunto su base trimestrale, poi naturalmente pubblicati». Nel difficile equilibrio di rappresentare un governo che si commissaria da solo, appaiono meno buonisti il presidente americano Barack Obama e la direttrice francese del Fmi, Christine Lagarde. L'invito al Fondo «è un esempio delle necessarie misure» per riacquistare la fiducia, dice Obama, che fin lì aveva usato espressioni meno diplomatiche come «muro antincendio» da erigere intorno a paesi pericolosi come Italia e Spagna. «Il problema dell'Italia è la mancanza di credibilità», dice invece senza mezzi termini Lagarde, secondo cui «verificheremo che le autorità italiane e l'Italia in generale faccia ciò» che si è impegnata a fare presso l'Ue «attraverso un'analisi indipendente».
La direttrice del Fmi ha più di un motivo per essere più dura con Berlusconi, perché di una parte delle trattative che hanno portato alla decisione finale, vengono fuori due versioni. «Il Fondo monetario ci aveva offerto dei fondi che noi abbiamo rifiutato», dice il nostro premier, mentre Lagarde replica che il Fondo non ha affatto offerto linee di credito all'Italia, ritenute inutili. Essendo il nostro problema, sottolinea, di credibilità.