ECONOMIA

Anche i mercati danno il loro voto

LE BANCHE - Crollano, insieme alle assicurazioni, sotto il peso del debito pubblico. A Milano Intesa SanPaolo perde il 15,8%, Unicredit il 12,4
PICCIONI FRANCESCO,

Tempesta perfetta. L'immagine non è nuovissima, ma sembra difficile trovarne un'altra per descrivere quel che sta avvenendo sui mercati finanziari del pianeta. Il crollo è generalizzato, ampio, capillare. Non esclude proprio nessuno. E se la povera Piazza Affari ha chiuso a -6.8% - «la peggior performance dai giorni di Lehmann Brothers» - non molto meglio è andata a Francoforte (-5%) e Parigi (-5,3). Né Wall Street ha tirato su il morale, pur presentando perdite di dimensioni decisamente minori (-2% circa, a due ore dalla chiusura). A guidare la picchiata i titoli bancari e assicurativi, i più esposti in questo tipo di crisi; ma anche quelli automobilistici, che scontano per primi i venti di recessione.
Tutti si aspettavano ancora tensioni molto consistenti sui titoli di stato italiani, penalizzati da un governo «incapace di dare una direzione». Ovvero di far capire «se vuole compiere riforme strutturali oppure temporeggiare, come sta facendo la Grecia». Ma la scossa è stata data dalla decisione di Papandreou di chiamare i greci a esprimersi, con referendum, sulla seconda «stretta» imposta dall'Europa. Dopo 18 mesi di grandi scioperi generali e violente manifestazioni fin sotto il Parlamento - peraltro mai dichiarato «zona rossa», a differenza dell'Italia - l'esito sembrerebbe scontato.
Ma gli investitori che avevano in tasca titoli di stato italiani non si sono fatti distrarre da altre notizie e li hanno venduti a piene mani. L'ormai famoso spread - il differenziale di rendimento dei Btp decennali rispetto ai Bund tedeschi di pari durata - ha toccato la quota record di 455 punti, per poi scendere a fine giornata a «soli» 542 (comunque 35 più del giorno precedente). In soldoni, significa che questi Brp debbono garantire il 6,2% (ma si era arrivati anche al 6,3) di rendimento annuo. Una cifra già astronomica per un paese a crescita zero (se il paese è fermo, allo stesso livello si posizionano anche le entrate fiscali dello stato), ma che si avvicina pericolosamente a quel 7% considerato «il punto di non ritorno».
Stessa sorte, ma con meno scarto, è toccata ai Bonos spagnoli (375 punti di spread e 5,5% di rendimento) e persino ai titoli di stato francesi (121,7 punti; sembrano pochissimi, ma era il livello che anche l'Italia poteva vantare fino a qualche mese fa). Per i mercati, dunque, il «rischio contagio», dalla Grecia, passa attraverso l'Italia ma punta dritto a Parigi. Il perché è presto detto: le banche francesi detengono 366 miliardi di titoli di stato italiani (solo 111 quelle tedesche, che nei mesi scorsi si sono «alleggerite» molto). Ci vuole un attimo a destabilizzare il quadro.
La Bce ha comprato anche oggi titoli di Spagna e Italia, ma ormai questa «mossa non convenzionale» è diventata abituale e viene quindi «scontata» dagli investitori. Soltanto l'annuncio del vertice di domani a Cannes - da cui qualche decisone «forte» è comunque attesa - ha per un paio d'ore attenuato la pressione. Poi di nuovo come prima.
L'evidente differenza di spread tra i due paesi è ormai apertamente attribuita alla diversa credibilità delle rispettive classi politiche. Alcuni investitori, come Angelo Drusiani, dicono tranquillamente che «il crack dell'Italia è un'ipotesi remota, ma c'è la sensazione che i politici italiani non abbiano ancora capito la potenziale gravità della situazione». L'uscita di scena di Berlusconi, paradossalmente, avrebbe quindi un effetto «benefico». Ovviamente se accompagnata dalla «sensazione» che a sostituirlo arrivi un governo molto deciso «nell'attuare riforme drastiche, benché impopolari». Brace e padella vanno insomma in coppia.
Al di là dell'Atlantico, comunque, la crisi del debito europeo ha già fatto una vittima importante. Mf Global, diretta dall'ex amministratore delegato di Goldman Sachs, Jon Corzine, che ha chiesto la «protezione dai creditori», risulta infatti abbia pesantemente «giocato» sui titoli del debito pubblico europeo (italiano e spagnolo, soprattutto), senza mettere in conto un protrarsi della crisi. Rimettendoci, alla fine, in misura paurosa: 6,3 miliardi di dollari.
Ma il fallimento (il gruppo di più grande, dal 2008 ad oggi) ha evidenziato come la finanza privata non si sia liberata di nessuno degli antichi vizi. Questa fondo - attivo soprattutto nel settore dei derivati e con ambizioni da banca di investimento - non avrebbe infatti tenuto separati i propri fondi da quelli dei clienti, come impongono le regole della Cftc. La dimensione delle cifre «scomparse» dai conti dei clienti oscilla, a seconda delle valutazioni, tra i 700 e i 950 milioni. Spiccioli, certamente. Ma è «la prassi» quella che dovrebbe far riflettere tutti.

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it