VISIONI

Abbado rilegge Schumann con la Lucerne Orchestra

Londra/IL MAESTRO DIRIGE ALLA ROYAL ALBERT HALL Abbado rilegge Schumann con la Lucerne Orchestra
PENNA ANDREA,LONDRA

Si sentiva parlare parecchio italiano alla Royal Festival Hall di Londra, nel cuore della cittadella delle arti di South Bank, mentre si radunava il pubblico per il primo concerto della Lucerne Festival Orchestra diretta da Claudio Abbado, ultima tappa del breve tour europeo effettuato dall'orchestra, fondata da Abbado nel 2003 e composta di solisti di altissimo profilo delle migliori orchestre europee e dell'orchestra Mozart. Accoglienza calorosissima e standing ovation finale per il direttore milanese, inconsueta per un pubblico che, nonostante il rinforzo di appassionati italiani, non si accende facilmente neppure per i grandissimi, vista l'impressionante varietà e qualità di concerti che le stagioni londinesi offrono agli appassionati, per tutti i gusti e per tutte le tasche.
Nel concerto per pianoforte e orchestra di Schumann, che apriva il programma (nei due concerti rimaneva fissa la sinfonia di Bruckner, affiancata nella seconda serata dalla Sinfonia «Haffner» di Mozart ) la lettura di Abbado si è concentrata soprattutto sulla sfida più appassionante che il pezzo propone, ovvero la realizzazione di un dialogo costante fra orchestra e solista, trovando un'alleata perfetta in Mitsuko Uchida. Raramente abbiamo visto la pianista nipponica così appassionata e capace di aggiungere alla classe e alla misura del suo pianismo anti-enfatico - che l'ha resa celebre, specie presso il pubblico anglosassone, che l'ha applaudita a non finire - una sorta di muscolare, febbrile esaltazione, tale da farla ondeggiare e quasi cantare durante i passaggi orchestrali, gli occhi fissi nel vasto spazio della sala. Perfetta negli assoli e nella splendida cadenza del primo movimento, suono calibratissimo, la Uchida aderiva con rigore all'impostazione di aerea trasparenza che Abbado ha tenuto salda anche nei passaggi di grande espansione cantabile, senza per questo sacrificare mai libertà e colori dell'orchestra, in particolar modo nell'intermezzo.
Alcuni elementi di questa impostazione emergevano anche nella Quinta Sinfonia di Bruckner, sorprendente per la ricerca perigliosissima di equilibri assai difficili da ottenere con la musica estrema, fino al fanatismo visionario, del compositore austriaco, specialmente in questa opera sinfonica. Se da un lato non vengono trascurate le più che evidenti le prefigurazioni mahleriane nel primo e nel terzo movimento, in nessun momento è venuta meno la sensazione che Bruckner non voglia narrare il tormento di un anima quanto la tensione dell'anima stessa verso il trascendente. Abbado, che ha diretto a memoria, ha impiegato ogni potenzialità dell'orchestra per illuminare le amplissime architetture della sinfonia, senza però gonfiarne o irrigidirne le strutture, partendo da quell'ossessivo elemento motivico che si addensa nel canto degli archi scuri nel primo movimento per ritornare costantemente durante l'intera sinfonia e esplodere con bagliori incandescenti nel finale. Chi è abituato alle letture «colossali», di tradizione teutonica, della musica di Bruckner si sarà sorpreso nello scoprire particolari che una luce così nuova rivelava nella sinfonia, come i niditi preziosismi cameristici dei due movimenti centrali, archi e fiati ancora una volta chiamati a ottenere il massimo e a superarsi. A tratti sembrava che la musica espandendosi a dismisura, come se la mano del direttore ne avesse abbandonato la guida; solo un istante, e il flusso sonoro ritrovava una composizione nella sua maestosa struttura, guidata senza indecisioni alla conclusione accesissima, abbagliante del finale.

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