CULTURA

Bibliotecari sul calendario, nudi e palestrati

EX PRESS
CARBONE MARIA TERESA,

È un vero peccato che questa rubrica non sia illustrata, perché varrebbe la pena mostrare ai lettori del «manifesto» almeno alcune delle immagini che corredano il calendario 2012 «Men of the Stacks» appena diffuso negli Stati Uniti per sostenere il progetto It Gets Better, mirato ad aiutare gli adolescenti LGBTQ (lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer) negli anni difficili della scuola superiore. Prontamente rilanciato dai blog di Oprah Winfrey e del «New Yorker», il calendario propone, mese dopo mese, dodici fotografie di bibliotecari americani che si distaccano nettamente dall'immagine tradizionale della signora di mezza età, con gli occhiali e la crocchia, seduta alla sua scrivania tra file e file di scaffalature - se non altro perché sono tutti maschi e tutti giovani, alcuni vestiti sportivamente, altri nudi o seminudi e muniti di una impressionante muscolatura. «Sappiamo - proclamano gli improvvisati modelli - che nelle biblioteche americane lavorano per l'80 per cento bianchi e per il 72 per cento donne, e sappiamo anche che decine di migliaia di bibliotecari compiranno 65 anni entro il 2016. Ma sappiamo anche che questa immagine non ci rispecchia. C'è una quantità enorme di bibliotecari che non è d'accordo con il modo in cui la nostra professione viene trattata sui media e con la percezione che ne ha l'americano medio. Ognuno sceglierà il modo migliore per cercare di cambiare questa percezione. Questo è il nostro». E dai commenti sui blog, c'è da prevedere che «Men of the Stacks» avrà un successone, e non solo fra i bibliotecari.
Stiamo per tornare ai tempi in cui gli scrittori, per poter comporre le loro opere, dovevano contare sul sostegno munifico di un mecenate? Secondo Laura Miller su «Salon», la prospettiva è tutt'altro che remota, con l'avvento della riproduzione digitale e il parallelo declino del copyright. «È possibile - scrive Miller - che scrivere libri diventi un hobby più che una professione, come il golf per esempio, tranne che per una minuscola percentuale di super-betselleristi, gente così famosa da poter fare pagare un biglietto quando appare in pubblico. Questo significa che ci saranno meno libri, e non diminuirà solo il numero dei romanzi, ma anche, e più ancora, quello dei saggi, dal momento che il tempo per la ricerca e l'elaborazione è abitualmente più lungo». Oppure, appunto, si potrebbe tornare al mecenatismo, un mecenatismo riveduto e corretto secondo i nostri parametri, come quello che offre Kickstarter (ne abbiamo già parlato in questa rubrica), un sito dove chiunque abbia un'idea per un libro - ma anche per una rivista o una libreria o un progetto di qualsiasi tipo - la può esporre in un video, nella speranza di raccogliere dal pubblico una cifra sufficiente per portare a compimento l'impresa. Il punto, però, al di là del merito dei vari progetti, è che c'è qualcosa che non va in un sistema dove il valore di un libro dipende dalla capacità del suo autore o della sua autrice di fare un video accattivante. «La correlazione fra questi due talenti - nota Miller - è tutt'altro che certa, come dimostra il promo che Jonathan Franzen è stato costretto a girare per lanciare il suo ultimo romanzo, Libertà».

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