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Un caffè con Sergio Bonelli

LE LETTERE
DEL SETTE LUCIANO,

Come tanti della mia generazione, bambina negli anni '60 del secolo passato, ho in casa una piccola collezione di albi a fumetti, così si chiamavano una volta. I miei miti con le nuvolette erano Tex e i suoi pard. Mentre di altri fumetti non conoscevo gli autori, il nome di Gian Luigi Bonelli, e più tardi del figlio Sergio, mi rimase impresso. Non immaginavo certo che Sergio l'avrei conosciuto decenni dopo, nell'ottobre del 2008 e nelle vesti di giornalista.
In quell'ottobre, proposi ad Alias una storia di copertina sulla Legione Straniera, madre di tutti i mercenari. Per illustrare le pagine sarebbero state perfette le tavole di due avventure della Bonelli Editore: «Requiem per un legionario» e «Fort Sahara». Nella seconda storia, Tex è alle prese con una guarnigione di legionari, che in Messico compie ogni sorta di razzie. E in Messico, la Legione aveva combattuto davvero.
Chiamai Milano, parlai con Sergio. Diede subito il consenso all'utilizzo gratuito delle immagini, aggiungendo di essere molto felice di vederle stampate su Alias. Discutemmo dei suoi viaggi, compiuti per trovare materiale utile alle avventure di tanti eroi: libri, mappe, documenti, foto, e lunghi percorsi, ad esempio nel deserto per studiare le fortificazioni abbandonate; oppure attraverso l'Amazzonia brasiliana. Trasformai quella conversazione in un'intervista. Sergio mi congedò, dicendomi «Quando viene a Milano, passi da me, ci beviamo un caffè e continuiamo a chiacchierare».
Un paio di giorni dopo l'uscita di Alias, sul mio cellulare comparve un numero sconosciuto che cominciava per zero due. Era Sergio. Ci faceva i complimenti per il lavoro, dicendo che era la miglior cosa che avesse letto negli ultimi anni sulla Legione. Si congedò raccomandando «Quando viene a Milano, passi da me, ci beviamo un caffè». Agli inizi di novembre trovai nella casella della posta un plico. Conteneva una copia di Fort Sahara. Sulla copertina interna una dedica «Grazie da Sergio Bonelli». Sergio diede altre tavole ad Alias, ci parlammo molte altre volte, dandoci sempre del lei. «Quando viene a Milano, passi da me, ci beviamo un caffè», si congedava. Nell'ultima telefonata aggiunse «Non ci siamo ancora incontrati, ma la considero un amico». Sono arrivato tardi per il caffè, Sergio. Il Manifesto, Alias ed io La ringraziamo tanto, come vede continuo a darle del Lei. Quanto zucchero metteva nel caffè, non lo saprò mai. Ed è per me un piccolo e speciale rimpianto.

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