CULTURA

Il velo lacerato della totalità

MAPPE DEL PRESENTE
GATTO MARCO,

Negli ultimi anni, Fredric Jameson si è ha inoltrato in strade tortuose con lo scopo di riconsiderare il pensiero di Hegel e Marx, assumendo come punto d'osservazione privilegiato il metodo dialettico. D'altra parte, gli esordi speculativi di Jameson - in particolare, Marxismo e forma (1971), uscito in Italia nel 1975 con una prefazione di Franco Fortini - rispecchiavano la volontà di confrontarsi con i capisaldi della tradizione dialettica del Novecento, al fine di risollevare le sorti di un pensiero che stava cedendo il passo all'egemonia delle microspecializzazioni analitiche ed empiristiche. D'altronde una tensione verso la totalità ispira largamente anche i lavori più noti di Jameson, a cominciare dal celebre Postmodernismo (uscito nel 1991, pubblicato integralmente da fazi, dopo l'edizione di solo alcuni capitoli da parte della casa editrice Garzanti), in cui la frammentazione alienante della vita sociale e la prospettiva straniante inaugurata dal crollo delle «grandi narrazion» trovano in una rivitalizzazione della dialettica tra particolare e generale, tra individuale e collettivo, una strategia di resistenza e opposizione.
Dissoluzione del moderno
In un tempo che ha dissolto la capacità del soggetto di relazionarsi all'altro e di situarsi in uno spazio condiviso, la teoria ha, per Jameson, l'obbligo di ricostruire una mappa della totalità sociale che sia canale di orientamento anzitutto politico. Da critico della cultura profondamente radicato nella tradizione che da Marx giunge sino ai francofortesi, passando dall'insopprimibile riferimento a Györky Lukács, Jameson si è dunque prodotto in un'inesausta analisi degli oggetti estetici della contemporaneità, sforzandosi di diagnosticare i termini di quella svolta culturale che, con l'ascesa del capitalismo multinazionale, segna la dissoluzione del moderno e la sua deflagrazione in un nuovo tipo di totalità. E quest'ultima totalità, la si voglia chiamare postmoderna o tardo-moderna, viene a identificarsi con la sua paradossale tensione a negarsi come totalità, a porsi cioè come momento storico in cui la possibilità stessa di intrecciare relazioni, istituire nessi, dar vita a orientamenti condivisi, non si dà.
Non stupisce che Jameson, in un momento di radicalizzazione delle istanze più violente del capitalismo contemporaneo (di cui il postmodernismo, secondo la sua antica tesi, sarebbe la logica culturale), scelga di ritornare ai padri della modernità filosofica. Non si tratta di rifugiarsi in una prospettiva nostalgica. Bensì di ritrovare nelle intuizioni di Hegel e Marx quei presupposti teorici che riabilitino anzitutto il pensare critico e offrano la possibilità di guardare al capitalismo non certo attraverso la prospettiva superficiale del «particulare», ma mediante una vocazione conoscitiva sistemica, capace di ricostruire la totalità delle sue forme e delle sue rappresentazioni. Il pensiero moderno, che per Jameson è pressoché sinonimo di pensiero dialettico, ritrova nell'era della sua apparente scomparsa le ragioni della sua forza, ponendosi quale forma contrastiva di totalizzazione che costantemente nega i propositi detotalizzanti della postmodernità. Laddove regnano strategie di ideologizzazione fondate su opposizioni artificiose e su facili dualismi, laddove sono egemoniche chiusure formali che non lasciano tregua, la dialettica restituisce l'occasione di uno shock filosofico, in grado di sollevare lo sguardo oltre la logica apparente dei dualismi e di costituire una nuova contraddizione.
Le molteplicità represse
Il frutto di questo approccio, che accorda alla dialettica e alla totalità il ruolo di fondamenti conoscitivi per un nuovo agire politico, è offerto da Valences of the Dialectic, uscito nel 2009 per i tipi di Verso. Jameson vi ha raccolto saggi editi e inediti scritti nell'ultimo ventennio. La tesi principale concerne la decostruzione di una polarità interna al pensiero moderno medesimo, che oppone la dialettica come metodo scientifico alla dialettica come sistema. L'antitesi non fa altro che fissare in due forme chiuse di conoscenza quello che è il vero portato rivoluzionario, per Jameson, del pensiero dialettico: la sua capacità di sfuggire alla stabilizzazione normativa dei contenuti filosofici, cogliendo nell'asimmetria e nello scardinamento del binarismo l'insorgere di una molteplicità repressa che tende a configurarsi come possibile e nuova contraddizione. La dialettica a cui Jameson guarda è dunque quella che, assumendosi il compito di temporalizzare, si pone come movimento incessante del pensiero, come autocoscienza perenne che stigmatizza e blocca la possibilità della chiusura, secondo una dinamica che proietta il particolare su uno sfondo universale e molteplice, in cui i rapporti di coesistenza e di relazione vengono rovesciati e mutati.
Per questo, il «sistema» di Hegel non può essere pensato come apparato concettuale chiuso in sé, ma come filosofia che enuclea un'istanza di temporalizzazione: come una «narrazione» che sfonda le pareti delle continue chiusure ideologiche per aprirsi a sempre nuove esperienze di senso. È la tesi del commentario alla Fenomenologia dello spirito, uscito nel 2010 (sempre per Verso), e dal titolo di The Hegel Variations. Ed è indubbio che proprio nella tensione totalizzante del Geist Jameson veda una «figura» dell'attuale condizione capitalistica. Il capitale altro non è che una totalità che mira a rappresentarsi come esaustiva e che occulta continuamente il proprio essere una «totalizzazione in corso» (per dirla col lessico di Jean-Paul Sartre). Solo un pensiero che sappia dirsi totale, e che dunque fondi il suo agire sul reperimento di una logica sistemica, può essere in grado di demistificare le strategie di totalizzazione del capitale.
Il recentissimo Representing «Capital». A Reading of Volume One (Verso, 2011) è l'ultimo esito di questa elaborazione. Jameson vi commenta sinteticamente i passi decisivi del primo libro del Capitale, aggiungendo tuttavia un tassello fondamentale alla sua critica della totalità capitalistica. Se l'insegnamento marxiano è quello del reperimento di una legge fondamentale che sintetizzi la tensione accumulativa del capitale, la sua messa in opera, oggi, in un presente assediato dalle immagini positive che dell'accumulazione (e del conseguente sfruttamento) vengono date, non può che passare da un'«operazione essenziale di mappatura cognitiva» che mai disgiunga la critica del capitalismo dalla critica della sua rappresentazione. Si tratta di capire che lo sforzo di oggettività e di realizzazione verso cui tende il capitalismo beneficia di un continuo ricorso a forme d'apparenza, entro cui si occulta la realtà dei nessi sociali. Se il compito del filosofo è allora quello di svelare quanto l'economia sia intrisa di rapporti sociali, la funzione del critico della cultura - restituito, in un'era di simulacri e immagini, alla sua vocazione di critico dell'esistente - è di riempire di concretezza ciò che la rappresentazione svuota.
Tuttavia, ammette Jameson, la vera forza del capitalismo sta nell'aver innescato un meccanismo in cui a dominare è una logica della separazione, che pensa la realtà come articolata in livelli e le pratiche umane come autonome. Tale logica separativa è alla base di quel paradosso che rende il capitale capace di realizzare una coesistenza degli opposti e di occultare la necessità di un pensiero che leghi, metta insieme, crei sinergie e collegamenti tra gli ambiti del reale.
Una logica globale
La frammentarietà a cui il capitalismo costringe i rapporti sociali salvaguarda dunque la sua possibilità di presentarsi come unico, vigente e realizzato modo di produzione, laddove un genuino pensiero dialettico dovrebbe sforzarsi di mostrare la dinamica della sua espansione, e dunque i relativi processi di accumulazione, appropriazione, sfruttamento. Solo una logica sistemica - e il Capitale è uno sforzo di rappresentare una logica generale - può oggi assumere il ruolo di una contro-totalizzazione capace di restituire ai rapporti sociali una posizione diversa nel mondo globalizzato.

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