ECONOMIA

L'ultima idea di Tremonti

Riforme
PICCIONI FRANCESCO,

Bisogna fare subito qualcosa... Il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, bombarda ormai quotidianamente il governo: «ci vuole discontinuità», «o il governo vara riforme serie e impopolari» subito «oppure deve andare a casa; non ho paura a dirlo». La manovra da 54 miliardi non è piaciuta nemmeno un po' («tutta tasse») e non si vuol nemmeno sentir parlare di «patrimoniale spot» - un prelievo dai conti bancari in stile Giuliano Amato, oppure (anche) sulla proprietà immobiliare - ma si chiedono a voce altissima «riforme subito: pensioni, privatizzazioni, liberalizzazioni».
Bisogna fare subito qualcosa, si son detti anche al governo. Perché avere contro anche gli imprenditori significa aver sbagliato proprio tutto. Ieri mattina, dunque, il ministro dell'economia Giulio Tremonti ha riunito un «tavolo per lo sviluppo» in cui ha (avrebbe) dettato le linee guida per «dare l'idea di quel che il paese fa nei prossimi dieci anni». Tempo esagerato per qualunque governo, figuriamoci per uno appeso al voto su Milanese o al «processo lungo».
Le intenzioni operative per «rilanciare la crescita» si dovrebbero concretizzare in un «decreto sulle infrastrutture» da presentare già domani in consiglio dei ministri, in attesa di completare il testo sul «rilancio» entro la prossima settimana. E po tanto «marketing per l'Italia», perché «serve un po' di allure». Ma soprattutto «liberalizzazioni» e una «norma alla greca suggerita dalla Ue» che fa pensare a colpi d'ascia su quel poco di stato sociale che resta. A cominciare dall'art. 41 della Costituzione (che fissa il principio delle «finalità sociali» dell'attività economica), che andrebbe rovesciato in un ben più selvaggio e un po' criminogeno «tutto è lecito se non è espressamente vietato». Intonata alla discussione, dunque, anche la citazione bismarckiana: «se il popolo sapesse come sono fatte le sue salse e le sue leggi, non le mangerebbe». Frasi comunque smentite poche ore dopo dal suo portavoce come «totalmente infondate», ma confernate dall'Ansa come «frasi riportate da persone presenti all'incontro».
Il tentativo di venire incontro agli imprenditori è evidente e in qualche modo esibito. Ma sui contenuti concreti di un «pacchetto per lo sviluppo» non è facile - neppure per questo masnada di «pronti a tutto» - assumere in toto le richieste di Confindustria, peraltro dettagliate fin da luglio in un «manifesto» che campeggia da allora sul Sole 24 Ore.
La «riduzione della tassazione sul lavoro» per «alleggerire l'Irap» (una tassa pagata dalle imprese con cui si finanzia la spesa sanitaria) è complicata da disegnare e dagli effetti sistemici incerti (specie se «compensata» da un altro aumento dell'Iva). Duro da gestire, per qualsiasi governo, sarebbe invece «l'innalzamento obbligatorio per tutti a 70 anni dell'età pensionabile», avvicinando l'andata a regime al 2020 (anziché al 2050). Davvero «impopolare», bisogna ammettere; specie se si pensa alla brutta tendenza delle imprese a disfarsi dei dipendenti che superano i 50...
Anche le «privatizzazioni della Rai e delle aziende di public utilities» pongono parecchi problemi politici (almeno quanto «l'abolizione delle province e l'accorpamento dei comuni»), anche per la ragione sociale dei diversi enti. Sulla «liberalizzazione delle professioni» sono invece subito partite le risposte ironiche di alcuni ordini professionali («Confindustria si concentri sulle difficoltà delle aziende ed eviti di occuparsi» di cose che conosce meno). Già in corso, infine, anche forse con un po' più di lentezza, «l'aumento delle rette universitarie» e l'adozione dei «costi standard per la spesa sanitaria».
Insomma, par di capire che l'intenzione di Tremonti fosse quella di portare già al consiglio dei ministri di domani un «pacchetto» contenente almeno alcune delle ricette confindustriali, anche se necessariamente muto sulle proposte più «indecenti» e politicamente insostenibili (la Lega deve pur sempre far finta di «difendere le pensioni del nord»).
Su questo percorso è però calata, in serata, la secchiata gelida proveniente dal Quirinale. Il presidente della Repubblica ha infatti ripetuto il suo mantra «unitario», spiegando che «è indispensabile l'impegno comune per fare fronte alla difficile situazione economica e finanziaria». Un ragionamento che, seppure prende atto della necessità di agire in fretta, tuttavia viene presentato come attento a non lacerare irreparabilmente la coesione sociale: «occorre un pacchetto, un insieme di misure. Sento parlare di un piano pluriennale, di una piattaforma meditata che nasca da consultazioni ampie per rilanciare la crescita anche perchè, se il pil decresce, l'impresa diventa ardua se non impossibile».
Ma per riuscirci «c'è bisogno di una piattaforma meditata che nasca da consultazioni ampie per rilanciare la crescita, perchè ormai è chiaro che l'accento va spostato sulla crescita». Usando almeno retoricamente quel «cemento nazionale unitario, che consenta la massima mobilitazione di grandi energie». La traduzione politicista è immediata: bisogna prima consultare tutte le parti sociali e quindi nessuno si illuda di poter buttare lì un altro elenco di cose che, nell'insieme, non fanno un progetto condiviso. Specie se a redigerlo è un governo il cui «tempo è scaduto», come dice Marcegaglia.

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