ECONOMIA

Spaventapasseri contro l'evasione

TASSE - Più tagli ai ministeri e un po' meno ai comuni, nuove norme anti-evasione e dichiarazione dei redditi on line. Tutto come prima, peggio di prima
PICCIONI FRANCESCO,

Ricompare il mago dei conti - o della «finanza creativa» - e il polverone di proposte bislacche su come trovare le coperture sembra diradarsi. Ma è un'impressione dovuta alla retorica, poco altro. Dopo un rapido vertice di maggioranza, Giulio Tremonti illustra gli emendamenti del governo alla manovra (siamo ormai alla quarta versione), cercando di convincere tutti che i cambiamenti rispetto al testo di partenza sono soltanto due.
Il gettito previsto dalla Robin Tax sulle società del settore energetico andrà ora tutto a copertura dei minori tagli nei trasferimenti alle autonomie locali, invece che diviso equamente con i minori tagli ai ministeri nazionali.
In secondo luogo, il buco aperto dalla scomparsa - solo per i manager del settore privato - del «contributo di solidarietà per i redditi sopra i 90.000 (+5%) e i 150.000 euro annui (+10%) sarà compensato con «un apparato di norme antievasione di grande efficacia». Anche così, spiegano subito gli analisti, mancano circa 4 miliardi per arrivare ai fatidici 45,5 che l'Unione europea pretende di vedere sul piatto.
Ammesso e non concesso che le nuove norme contro l'evasione fiscale siano «veramente efficaci», il loro gettito reale potrà essere stabilito solo dopo l'applicazione, mai prima. E, andando nel dettaglio, si tratta di misure in gran parte «spaventa-passeri», ovvero minacciose all'aspetto ma funzionanti solo se attivate con grande impegno. Difficile da credere, in un governo che degli evasori è spesso espressione sfacciata. Un esempio? Il «carcere per chi evade» è rappresentato dall'«impossibilità» di concedere la sospensione della pena a chi abbia «evitato» di versare la non modica cifra di 3 milioni di euro. A occhio, non tantissimi. Specie se si considera che, proprio ieri, il direttore dell'Agenzia delle entrate Attilio Befera ha reso noto che dei 4 miliardi attesi dall'ultimo condono ben 2,5 o più sono «inesigibili».
Più seria - ma sempre di impossibile quantificazione - è la possibilità per i Comuni di verificare tra i propri residenti chi abbia immobili o auto di lusso incompatibili con il proprio 730. Ci guadagneranno il 100% delle cifre recuperate; un bell'incentivo. Più propagandistica, e vagamente da «caposcala» di fascista memoria, la pubblicazione sui siti comunali delle dichiarazioni dei redditi. La speranza palese è che ci possa essere una corsa alla «denuncia anonima» del vicino. Più sottile, apparentemente, l'obbligo di indicare, nella dichiarazione dei redditi, le banche o gli operatori finanziari con cui si è in rapporto; ma l'anagrafe dei conti è già esiste, basterebbe consultarla.
Efficace potrebbe essere l'indagine sistematica dei casi di «concessione in godimento dei beni dell'impresa a socie e familiari» (auto, appartamenti, ecc), specie in combinazione con la possibilità data all'Agenzia delle entrate di ricostruire in tal modo un reddito più alto del dichiarato.
In ogni caso, si tratta di un insieme di misure che possono contribuire a far sentre gli evasori meno certi dell'impunintà. Il problema, come già detto, è che queste per ora non «coprono» le cifre a vario titolo depennate. E quindi restano in campo l'ipotesi di aumentare l'Iva di almeno l'1% e la promessa - meglio dire: la minaccia - di metter mano a una nuova «e definitiva» (quante volte ce l'hanno già detto?) «riforma delle pensioni» che alzi subito a 65 anni l'età del ritiro per le donne del settore privato, che acceleri la progressione degli «scaglioni» per aumentare l'età pensionabile per tutti (obiettivo dichiarato: 70 anni). E così via.
E' la «manovra di autunno», certa come la pioggia, qualsiasi sia il governo che dovrà farla. Ma la cosa più ignobile della pantomima messa in piedi in questi giorni è che ha fatto concentrare - con la complicità dei media - l'attenzione pubblica su «ipotesi balzane» di breve durata e tutto sommato «minori». La carne viva di lavoratori stabili, precari, giovani e anziani, donne e uomini, viene invece colpita soprattutto da quelle «norme dimenticate» (non se ne discute più da quasi un mese) che inchiodano il lavoro a una condizione semischiavistica: abolizione dell'art. 18; recepimento dell'accordo del 28 giugno» tra Confindustria, Cisl, Uil e Cgil (che consegna la rappresentanza sindacale ab aeterno a chi ha firmato quel testo) e suo superamento (che rende il sindacato una «firma a progetto»); eliminazione del contratto nazionale di lavoro e possibilità per quelli aziendali di «derogare» persino alle leggi dello stato. Non è un elenco completo, ma ci sembra già troppo.

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