LA GIORNATA

Tremonti: eurobond anticrisi

PICCIONI FRANCESCO,

Molti errori, 
ma non suoi
È il lato meno apprezzabile del suo fare: la lezioncina ammannita a chiunque gli si trovi davanti. Ma con i ragazzi di Cl, ci può anche stare. E il ministro Giulio Tremonti non ha mancato di accusare i troppi governi «che «hanno pensato che quella che si avviava non era una crisi ma solo un ciclo». Addirittura una crisi di «dimensione finora non nota» e che è stata affrontata «usando, per i salvataggi, i debiti pubblici e così la medicina è diventata il male in sé». Fino a dire che «le banche vanno salvate quando sostengono le famiglie e le industrie, non quando speculano d'azzardo nel casinò della finanza» (ma proprio lui dovrebbe sapere che un volta era obbligatorio distinguere questi due tipi di banca, oggi non più). Bacchettate distribuite anche perché «non sono state scritte, se non per finta, le regole sulla finanza; che, essendo materia complicata, dovevano essere proposte dai banchieri e non dovevano farle i governi». Dimenticando però che i banchieri non ne volevano alcuna. Così come «dimentica» che fra la sua previsione della crisi in arrivo - quando era all'opposizione - e la presa d'atto generale di oggi ci sono tre anni da ministro in cui la parola d'ordine era «stiamo meglio degli altri». Per scoprirsi poi inermi e metter mano alle cesoie sulla spesa sociale pubblica.
E venne il tempo
degli eurobond...
Ma il suo pezzo forte sono i «titoli di stato europei», ovvero gli Eurobond. L'oppositore storico di questo strumento è la destra tedesca (Spd e Verdi sono favorevoli), ma anche dentro il partito della Merkel la resistenza si va sfaldando, mentre la Commissione Ue si è proposta di studiarne la fattibilità. Per Tremonti «è l'unico modo per investire sul nostro futuro», ma è soprattutto «uno strumento di consolidamento fiscale per la moneta comune». La bizzarria della costruzione europea è aver varato una moneta unica senza istituzioni in grado di gestire politiche comuni (da quelle fiscali a quelle economiche), ed è ormai una fonte di squilibrio che va superata. La crisi diventa perciò l'occasione di «creare un blocco europeo» in grado di imporre unità di marcia a tutto il convoglio dei paesi aderenti. Sul tema si sono esercitati anche Romano Prodi e Alberto Quadrio Curzio, raccogliendo consensi e critiche da parte di diversi economisti, che vi ravvisano o una complicata partita di giro in cui, alla fin fine, dovrà essere pur sempre la Germania a metterci «i soldi veri»; oppure un disincentivo alla disciplina di bilancio» per i paesi meno «virtuosi».
Il problema centrale della costruzione europea, nel bel mezzo di una crisi mai vista, è però: si rafforza l'unità in vista di quale modello di società comune? Se bisogna giudicare dai fatti, lo stesso Tremonti ha confermato ieri che che «il governo sta lavorando alla modifica dell'arte. 41 della Costituzione», per dare totale libertà alle imprese, esentandole da qualsiasi «utilità sociale» e dalle limitazioni necessarie per evitare di «recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana». Un incubo, insomma.

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