LA GIORNATA

Il fronte indiano della Fiat

PATERNO FRANCESCO,

Marchionne-Tata
Il titolo Fiat dimezzatosi in borsa, l'indebitamento del gruppo (Chrysler compresa) che fa storcere il naso a molti analisti, vendite deboli in Europa. Sergio Marchionne ha tanti guai, ma che ci si mettesse pure Ratan Tata in un agosto così terrificante forse è troppo. Tata è il patron di uno dei più grandi gruppi industriali dell'India, omonimo e con una divisione auto. Con questo ramo, Marchionne si è imparentato nel 2005, attraverso una operazione di joint venture per produrre in loco vetture e motori Fiat e insieme distribuire in un immenso mercato tramite i concessionari Tata. Il problema è che le cose non sono andate bene come previsto, e Ratan Tata - per altro consigliere di amministrazione Fiat - lo ha detto a voce alta venerdì scorso, al termine del suo cda a Mumbai .«La cooperazione sta evidenziando perdite. Era partita con il presupposto di fabbricare e commercializzare assieme le auto. I volumi non sono stati raggiunti a causa della recessione e non sono decollati come ci immaginavamo». Neanche Marchionne è contento: cattiva distribuzione, i modelli Tata in concorrenza con i più costosi Fiat (Linea, Punto, 500), un rapporto di vendite di oltre 1 a 10 (20.493 Fiat vendute nell'anno fiscale chiuso il 31 marzo scorso, contro le 269.100 di Tata). Ma Ratan e i suoi straparlano ogni giorno, mentre gli uomini Fiat appena nominati nell'area - Enrico Atanasio a capo del mercato indiano e Michael Manley a capo delle operazioni del gruppo in Asia - tacciono. In attesa di ordini supremi.
Le cose, va detto, non vanno tanto bene nemmeno per Tata a casa sua. Venerdì scorso alla borsa di Mumbai, il gruppo è stato superato per capitalizzazione dal rivale Mahindra & Mahindra, il più grande costruttore di Suv del paese. Tata valeva 424,14 miliardi di rupie, Mahindra 440,74, circa 9,6 miliardi di dollari, sempre al cambio e ai valori più che volatili di queste settimane. Ma i motivi sono da economia reale: la gente compra meno macchine in tempi di crisi, e mentre Tata esporta il 73% , Mahindra solo il 5%: è meno esposta della rivale ai down di Europa e Nordamerica.

Quanti problemi
Così, Tata e Fiat in India fanno scintille. E se agli indiani è andata male pure la Nano (ricordate la prima auto veramente low cost di cui almeno in occidente non si parla più?), agli italiani ora non interessa più la controllata indiana Land Rover, perché in fatto di trazione integrale in casa c'è Jeep. Si separeranno? Difficile, perché con l'aria di recessione che tira, l'India fa ancora l'India sullo scacchiere mondiale, e la Fiat non potrebbe compensare con la Cina, dove è ancora più indietro. Infine, una cattiveria: per chi guida Carl Peter Forster, nominato amministratore delegato di Tata Motors dopo essere stato dimissionato nel novembre del 2009 da capo di Gm Europe, perché voleva vendere la Opel non a Marchionne, ma a Magna in cordata con i russi di Sberbank?

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